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II lettura di domenica 21 novembre - Il sovrano dei re della terra ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio

Cristo Re - Anno B

Al tramonto dell’anno liturgico, in richiamo al tramonto della storia umana, viene portata attenzione a colui che ne ha la signoria,la regalità.
Dio ha promesso l’instaurazione di un regno universale ed eterno ad opera di “un figlio di uomo” investito di potere regale.
Il Re dalle prerogative divine e redentrici è Cristo, il quale manda ad effetto il regno voluto da Dio. Ed è, perciò, anche giudice.
Il suo regno ha finalità assolutamente spirituale, ultraterrena, al di sopra di ogni schema mondano.
Suoi sudditi sono coloro che lo ascoltano.

Giovanni sta introducendo il suo scritto, la “Rivelazione di Gesù Cristo che gli fu data da Dio”. Dal saluto augurale “alle sette Chiese dell'Asia” – che rappresentano, idealmente, tutta la Chiesa – passa ad una dossologia, espressione di lode, a Cristo.
Richiama i titoli di gloria. Gesù Cristo è pure “il primogenito dei morti”, ossia il primo dei nati dalla morte, il primo dei risuscitati, il capostipite dei risuscitati (identica espressione in Cl 1,8).
Inoltre “è il principe dei re della terra”, avente autorità superiore ad ogni altra esistente: ha signoria universale, assoluta, incon¬dizionata.
Ulteriore titolo di gloria per Gesù Cristo è la redenzione, la “liberazione dai nostri peccati”, voluta dal suo “amore” e attuata“con il suo sangue”. Conseguentemente Cristo “ha fatto di noi un regno di sacerdoti”: i sudditi del regno di Cristo hanno prerogative sacerdotali, dinanzi a “Dio e Padre”, rivestiti, dunque, di una dignità sconosciuta ai sudditi di altri regni. Viene pertanto annunciata la realizzazione della profezia veterotestamentaria: “Voi sarete chiamati sacerdoti di Jahvé; gli uomini vi chiameranno ministri del nostro Dio” (Is 61,6). Come anche che era stato precedentemente promesso da Jahvé a Mosè, sul Sinai: “Voi sarete per me un popolo di sacerdoti” (Es19,6). Identica condizione è attestata dalla prima lettera di Pietro (2,5-9).
Gesù Cristo, per tali titoli, ha diritto alla “gloria”, cioè allo splendore caratteristico ed esclusivo da cui Dio, secondo la Bibbia, è avvolto e del quale nessun occhio umano può sostenere il ful¬gore. A Cristo quindi appartiene di diritto la “potenza”, il potere, la signoria universale. Il tributo di lode, consistente nel riconoscimento di “gloria e potenza” deve essere perenne: “nei secoli dei secoli”. (cfr. anche 4,11; 5,12).
La dossologia si conclude con “Amen”: aggettivo ebraico che letteralmente significa “saldo, sicuro, vero” ed è usato avverbial¬mente sia nell’A.T. che nel N.T. per attestare, ratificare una verità; ha quindi il significato di “è e deve essere vero”, “è e deve essere sicuro” o anche – come comunemente viene tradotto – “così sia”, con valenza imperativa, non semplicemente, ottativa, augurale; equivale, in definitiva ad un impegno; è “l’Amen” che verrà acclamato in cielo (5,14;19,4), ma che designerà pure Gesù stesso (3,14).
Quindi l’annuncio consolante ed esaltante: “ecco viene sulle nubi”, (il segno biblico della presenza divina). E’ il ritorno di Cristo alla fine dei tempi, che egli stesso ha preannunciato citando Dn 7,13: “vedrete il Figlio dell' uomo seduto alla destra della Potenza venire sulle nubi del cielo” (Mt 26,64).
Una venuta che ha le prerogative del giudizio divino, poiché nell’escatologia dell' A.T. “il Signore che viene” è Dio-giudice. E come tale “ognuno lo vedrà”, perché tutti saranno sottoposti al suo giudizio, compresi i suoi crocifissori.
Dinanzi a Cristo-giudice l’unico atteggiamento vero possibile dell’umanità (“tutte le nazioni”) sarà quello del riconoscimento delle colpe, onde chiedere perdono: “si batteranno il petto”.
“Sì, Amen” – viene ripetuto, come un’eco – questa è la verità, non c’è, né ci deve essere alcun dubbio, perché il Signore è “l’Alfa e l’Omega”, ossia il principio e il termine di ogni realtà, nel senso che tutto in lui ha origine e finalità, ma pure consistenza, allo stesso modo che le parole si compongono tutte con le lettere dell’alfabeto (greco), dalla prima, “Alfa” all’ultima, “Omega”.
In un crescendo solenne, Giovanni ribadisce identico concetto con l’espressione “Colui che è, che era e che viene”. Successivamente la perifrasi si era ampliata in “Colui che è, che era e che sarà”, ad indicare completivamente l’eternità di Dio e quindi la sua presenza e la sua signoria sulla storia passata, presente e futura. In questo passo il “sarà” è sostituito da “viene” (letteralmente, nel testo in greco, “colui che deve venire”) per richiamare. che nel futuro c’è “Dio che viene” , ossia – secondo la concezione già accennata – Dio che viene per giudicare.

Fonte: Il Cittadino
II lettura di domenica 21 novembre - Il sovrano dei re della terra ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio
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