II lettura di domenica 17 ottobre - Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia.
XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
Inizia la sezione centrale della lettera, che si propone di sostenere i cristiani sconfortati da circostanze che mettono difficoltà la loro fede. Lo scrivente rinnova l’esortazione – “manteniamo ferma la professione della nostra fede” –motivandola con la certezza di avere in Gesù “un grande, sommo sacerdote”, il quale non è semplicemente uomo, bensì “Figlio di Dio”.
Il titolo di “sommo sacerdote”, riservato al sacerdote dell’Antico Testamento, che presiede tutti i ministri del culto, è qui accresciuto e precisato da quello di “grande” o “sublime”, cioè unico ed insostituibile: corrisponde all'apocalittica giudaica, la quale collegava l'attesa messianica con l'attesa di un sommo sacerdote escatologico. Gesù è il sommo sacerdote, il quale, al momento della Ascensione, ha già “attraversato i cieli”, ove continua il suo ministero di pontefice, cioè di ponte, di mediatore tra l’umanità e Dio: presenta a Dio il proprio sacrificio redentivo in favore dell’umanità e all’umanità trasmette la misericordia divina.
L’umanità dunque può far assegnamento su un sommo sacerdote, il quale, sebbene “nei cieli”, sa “compatire le infermità”, cioè le debolezze, le fragilità, “essendo lui stesso provato in ogni cosa”, come ogni essere mortale, “escluso il peccato”, in ragione della sua divinità.
Cristo è dunque il vero mediatore, per i cui meriti l’uomo, “con piena fiducia”, può accostarsi al “trono della grazia,per ricevere misericordia”.
“Accostarsi” è termine proprio del linguaggio cultuale e indica l'accedere del sacerdote all'altare come al luogo dove Dio è presente in maniera speciale.
“Il trono della grazia” richiama l’altare attorno al quale la comunità dei credenti celebra la liturgia, ma è riflesso visibile del trono di Dio misericordioso.
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