II lettura di domenica 14 febbraio - Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo
VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.
Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Tra i problemi, segnalatigli dai Corinti, che Paolo prende in considerazione è quello relativo ai cosiddetti “idolotiti”: le carni immolate nei sacrifici agli idoli. Una parte viene distrutta nel rito, una parte è prelevata dai sacerdoti ed una parte, la più consistente, viene messa in vendita al mercato. Problema: i cristiani possono cibarsi di tali carni? In particolare: se sono invitati ad un pranzo, in cui sono portati in tavola gli idolotiti, il cristiano ne può mangiare?
C’è chi risponde negativamente e chi afferma che – come anche Paolo ha spiegato in precedenza – gli idoli sono “nulla”, insistenti, quindi la carne offerta a loro non porta alcuna impronta immorale, non è contaminata e quindi il cristiano, che in Cristo è libero dal male, può cibarsene tranquillamente.
Paolo ha dato una risposta di profondo equilibrio morale: non tutto ciò che è lecito è sempre utile, opportuno.
Dunque: è lecito mangiare gli idolotiti, fino a che ciò non possa recare scandalo a qualche fratello, con convinzioni meno chiare e salde.
Ci si deve astenere non solo da ciò che è realmente immorale, ma anche da ciò che, pur senza essere immorale, può ugualmente scandalizzare qualcuno.
Proseguendo ed esprimendo un principio generale, Paolo spiega che il criterio delle proprie scelte non può essere il tornaconto o il comodo personale, ma qualsiasi atteggiamento deve essere innanzi tutto finalizzato alla “gloria di Dio”, perché tutta la vita cristiana è chiamata ad essere atto di culto; inoltre poiché l’espressione “gloria di Dio” è intesa anche come segno sensibile della presenza divina, ogni atteggiamento del battezzato deve esprimere tangibilmente la presenza di Dio, come la “nube-gloria di Dio”, al tempo dell’Esodo era segno della sua presenza per il popolo in cammino verso la Terra Promessa.
Altro criterio: la ricerca del bene spirituale altrui, che impone di evitare, con cura, di essere di inciampo, di scandalo per chiunque, sia che si tratti di correligionari sia si tratti di non credenti. Il cristiano agisce con amore verso il prossimo, anche preoccupandosi di non scandalizzarlo, anzi evitando di essere inutilmente provocatorio.
Paolo attesta il suo “sforzo” di non essere indisponente per alcuno, di non cercare l’utilità personale, ma quella degli altri, di tutti, affinché “giungano alla salvezza”.
Ed arriva ad esortare i Corinti ad imitarlo. L’Apostolo è consapevole di avere la responsabilità di modello, nella comunità che guida. La sua genuinità, però, va verificata sulla sua imitazione di Cristo: la comunità ha modo di fare tale verifica.
Come il criterio vitale di Cristo è la salvezza dell’uomo, il criterio dell’Apostolo e del battezzato non può essere diverso.
Per il bene spirituale dei fratelli, talora, bisogna rinunciare anche a ciò che in se stesso è lecito.
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