«Fanciulla, io ti dico, alzati!»
XII Domenica del Tempo Ordinario (1 luglio 2018)
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, […], gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva”. Gesù andò con lui. […] Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, […], anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. E all’istante le si fermò il flusso di sangue, […]. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi mi ha toccato il mantello?” I discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?” Egli intanto guardava intorno […].
E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?” Ma Gesù, […], disse al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: “Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!” Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. […]
Dio ha creato l’uomo per la vita e non per la morte, soprattutto spirituale. Questa prende cittadinanza nel mondo solo come retaggio del peccato. Cristo, incarnandosi, ha ricostituito le ricchezze della vita spirituale nell’uomo, il quale a sua volta deve generosamente condividerle con atti di amore, operante tangibilmente. Cristo domina in maniera definitiva la morte, sia fisica che spirituale. Per chi ha fede in lui, essa, sia fisica che spirituale, non è che un sonno temporaneo, da cui egli risveglia prendendo per mano e poi rifocillando.
E’ narrato il compimento di due miracoli – la guarigione di una emorroissa e la risurrezione della figlia di Giairo - intersecando i due racconti, forse per riportare con maggior precisione la sequenza degli avvenimenti, che appunto si sovrappongono, avendo peraltro ricevuto dalla tradizione apostolica orale tale sviluppo narrativo oppure, con intento più didattico, per preparare il secondo miracolo, della risurrezione, con quello precedente, della guarigione. Gesù, dalla riva orientale del lago di Tiberiade, nella regione dei Geraseni, ove ha liberato un uomo dalla possessione demoniaca, in barca si porta “di nuovo” alla riva occidentale. Non è ancor sbarcato che “gli si raduna attorno molta folla”, alla quale è nota l’attività dell’eccezionale rabbì e taumaturgo. Un certo Giairo (nome ebraico, che significa “illumina” o “splende”) il quale fa parte dei capi, cioè di quel gruppo (da tre a sette) di responsabili della manutenzione e del servizio della sinagoga del villaggio (Cafarnao o nelle vicinanze), si “getta ai piedi” di Gesù, implorando il suo intervento sulla figlia dodicenne, in fin di vita: “vieni ad imporle le mani perchè sia guarita e viva”. L’imposizione delle mani è gesto abituale in determinate occasioni (benedizioni, celebrazione di sacrifici, pronuncia di sentenze penali, conferimento di mandati, ecc.) ma, fatto da Gesù, è considerato taumaturgico. L’Evangelista riferisce semplicemente che Gesù si affianca a lui, procedendo verso l’abitazione. Tra la folla che continua a seguirlo, assediandolo e premendolo da ogni parte, “una donna che da dodici anni è affetta da emorragia”, riesce a raggiungerlo alle spalle. Molti medici le hanno spillato soldi senza guarirla, anzi è peggiorata. Marco evidentemente non ha molta considerazione per i medici, i quali d’altra parte – all’epoca – non meriterebbero propriamente tale qualifica, essendo più che altro dei praticoni, abbastanza affini ai fattucchieri: nel caso della donna, per esempio, solitamente prescrivono alla malata di portare su di sé un sacchetto con ceneri di uova di struzzo; perciò è cruda sentenza tra i rabbini che “il migliore dei medici è buono per l’inferno”. Invece nella pagina parallela di Luca, questi – egli stesso medico – si limita a dire che “da nessuno la donna ha potuto essere guarita” (Lc 8,43). Il particolare sta, comunque, a rimarcare maggiormente l’intervento taumaturgico di Gesù. Un miracolo che Gesù - unica volta in tutto il Vangelo opera senza la richiesta esplicita dell’interessata. Ella, infatti, gli si avvicina furtivamente, alle spalle, perché la sua condizione è considerata ritualmente “impura” dalla legge mosaica, quindi nessuno dovrebbe avere contatto con lei (Lv 15,25-27); allora si comprende la sua preoccupazione di non far conoscere pubblicamente il suo stato patologico. Riesce a toccare il mantello di Gesù, nella sicura convinzione che quel contatto sarà sanante. Il che avviene immediatamente. La reazione di Gesù non è di sorpresa, ma ha lo scopo di mettere in luce la guarigione: “chi mi ha toccato il mantello?”. I discepoli, straniti, fanno vivace rimostranza: “tu vedi la folla che ti stringe attorno e dici: chi mi ha toccato?”. Non comprendono, perchè non sanno. Gesù “intanto”, cioè ignorando l’obiezione dei discepoli, individua la donna con lo sguardo (lo sguardo divino che, avvolge tutta la persona sino all’intimo dell’anima). La poveretta, “impaurita e tremante”, denuncia il suo atto e le sue intenzioni. “Il timore e tremore sono certo giustificati dalla situazione della donna, ma sono anche espressione fissa, consacrata dal linguaggio veterotestamentario, del comportamento dell’uomo di fronte alla vicinanza di Dio” (E. Lohmeyer). Gesù esorta Giairo: “non temere, continua solo ad aver fede!” Di fronte al pianto e alle lamentazioni, in casa della morticina, Gesù ha un atteggiamento di meraviglia e di rimbrotto: “perchè fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Egli considera la morte, dal punto di vista di Dio, come un sonno, dal quale egli può risvegliare.
Alla sfacciata incredulità degli astanti che addirittura “lo deridono”, Gesù risponde con il miracolo: risveglio-risurrezione della ragazza. L’Evangelista riporta l’imperativo aramaico che s’è inciso nella memoria di Pietro, dalla cui catechesi Marco trae il suo scritto: “talità kum!”, che traduce per i suoi lettori stranieri: “fanciulla, io ti dico alzati!”. Pietro, Giovanni, Giacomo e i genitori della fanciulla, sono gli unici testimoni del fatidico momento: sono gli unici a meritare con la loro fede, di essere presenti, gli altri sono decisamente “cacciati tutti fuori” da Gesù. La loro incredulità sarà contraddetta, ma a fatto compiuto. Anzi, Gesù raccomanda ai testimoni di non divulgare l’accaduto, per non incrementare le aspettative messianiche temporalistiche e per non scatenargli contro gli avversari. E mentre genitori ed Apostoli se ne stanno stupiti, forse senza parole, egli si preoccupa di far “dare da mangiare” all’adolescente, sia per fornire una conferma del miracolo, della effettiva resurrezione sia per delicatezza verso la ragazza. “Cristo Dio domina la morte; Cristo uomo è sensibile ai più umili bisogni: tenerezza per la fanciulla e tanta comprensione e compassione per il padre” (S. Garofalo).
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