La parola
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Pasqua di Risurrezione (anno B), Marco16,1-7

Egli doveva risuscitare dai morti

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte...

Nei racconti evangelici del ritrovamento del sepolcro vuoto, c’è un passaggio dal buio alla luce: le donne vengono alla tomba di Gesù molto presto, “al levare del sole”.
Siamo all’inizio di un nuovo giorno, quando le tenebre della notte si diradano, e fanno spazio alla luce del sole che sorge, siamo al “primo giorno della settimana”, siamo all’inizio di una nuova creazione, finalmente sottratta alla presa finale della morte.
Le donne hanno comprato gli oli aromatici, per ungere il corpo del loro Maestro senza vita, ma saranno inutili, perché l’unica unzione che Gesù ha accettato è quella della donna nella casa di Simone il lebbroso (Mc 14,3), che ha fatto dono del nardo prezioso, come profumo di vita che ha riempito la casa.
È stata l’unzione di un vivente, e non di un cadavere, dove regna solo il profumo, e non vi è odore di morte, segno di un amore vivo per il Signore, gesto che non sarà mai più dimenticato, dovunque sarà annunciato il Vangelo (Mc 14,9), e che ora, nella fede nel Risorto, possiamo anche noi compiere, diventando a nostra volta buon “profumo di Cristo” (2Cor 2,15).
Nel racconto di Marco c’è un’evidente insistenza sullo scarto tra l’orizzonte di queste donne e la novità dell’evento, perché esse si muovono, come gli uomini di tutti i tempi, in una vita che sembra essere per la morte, chiusa dalla pietra tombale, che nessuno è in grado di togliere.
Hanno con sé gli oli aromatici, che servono a ritardare l’inesorabile corruzione del corpo esanime, sono preoccupate di come poter rimuovere la grande pietra che chiude il sepolcro, e alla fine, dopo l’annuncio della risurrezione, fuggono via, “piene di spavento e di stupore”, non dicono niente a nessuno, sopraffatte dalla paura (Mc 16,8).
La loro fede nel Risorto è qualcosa che matura dentro un travaglio, nel quale si lasceranno fecondare dalla parola dell’annuncio, e se noi ora ascoltiamo il Vangelo, se esiste una comunità di credenti nel mondo, è perché le donne, alla fine, non sono rimaste mute, hanno condotto altri a vedere la tomba vuota, e lo stesso Signore, secondo la sua promessa, si è mostrato vivente ai suoi discepoli.
Tuttavia, l’evangelista vuole mettere in rilievo l’incredibilità di questo annuncio, che tiene insieme croce e risurrezione, e rappresenta un capovolgimento dell’umano destino, una salvezza che non cancella magicamente la morte, ma si realizza nella morte e oltre la morte.
La parola del giovane vestito di bianco, figura di ogni annunciatore del Vangelo e del Risorto stesso, presente nella parola dell’annuncio, risuona infatti nel sepolcro, nel luogo dell’oscurità e della morte, che rimane passaggio inevitabile per ogni uomo.
Proprio qui, nel buio di quella tomba, ormai vuota, ascoltiamo le parole del “kérygma” che da allora, di generazione in generazione, sono consegnate alla libertà della fede: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.
La fede pasquale della Chiesa e di ogni credente nasce e si alimenta da questa essenziale parola e dal segno che la accompagna, quel sepolcro aperto, visitato dalle donne all’alba della prima “domenica” della storia.
Nell’annuncio c’è la piena identità tra il Nazareno, l’uomo Gesù, che ha percorso le strade della Galilea e della Giudea, e che è stato crocifisso, e il Risorto, colui che ora vive e che continua a farsi incontro a noi.
E la menzione del luogo dove era stato deposto il corpo di Gesù crocifisso, è il rimando ad un’assenza inspiegabile, alla effettiva realtà della risurrezione, che non è frutto della fede apostolica, ma fondamento e sorgente di questa fede: “Se il corpo fosse nel sepolcro, la morte non sarebbe vinta e non ci sarebbe il vangelo di salvezza.
Ci sarebbe solo una dottrina su come vivere e morire piamente. Ma questo non cambia la realtà!” (S. Fausti).
Sarebbe troppo poco per spiegare il cambiamento profondo dei primi discepoli, dispersi e confusi nelle ore della passione e della croce, troppo poco per sostenere la testimonianza commossa e luminosa di tanti martiri, di innumerevoli santi, noti e ignoti, troppo poco per dare ragione dell’esperienza di vita nuova, che fin da ora, si dischiude nel cuore e nell’esistenza dei credenti semplici e veri, nella libertà regale della fede: anche per noi, oggi, nella “Galilea” della nostra storia quotidiana il Signore ci precede e, se abbiamo occhi attenti, si mostra e si fa vedere.

Egli doveva risuscitare dai morti
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