4a domenica di Quaresima - anno B, Giovanni 3, 14 -21
Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi attraverso lui
Il vangelo che ascoltiamo nella quarta domenica di Quaresima, domenica già illuminata dalla gioia pasquale, è unavera sintesi dell'annuncio della fede, che l'evangelista Giovanni colloca all'interno del dialogo tra Gesù e Nicodemo, e anche se non ricorre il vocabolario della gioia, c'è indirettamente una nota di letizia e di speranza, perché viene svelato il disegno buono e grande del Padre, a favore dell'uomo.
Il vangelo che ascoltiamo nella quarta domenica di Quaresima, domenica già illuminata dalla gioia pasquale, è unavera sintesi dell'annuncio della fede, che l'evangelista Giovanni colloca all'interno del dialogo tra Gesù e Nicodemo, e anche se non ricorre il vocabolario della gioia, c'è indirettamente una nota di letizia e di speranza, perché viene svelato il disegno buono e grande del Padre, a favore dell'uomo. Giovanni legge l'evento della morte in croce di Gesù come innalzamento, compiuto dagli uomini, ma più profondamente da Dio: mentre i soldati innalzeranno Cristo sul legno della croce, in realtà è il Padre che lo esalta e lo costituisce sorgente di salvezza e di grazia. Una glorificazione che inizia nel paradosso della suprema umiliazione, e si compie, nella potenza della risurrezione: per il quarto vangelo, la gloria di Cristo è già nell'ora della croce, come ora dell'amore estremo e del dono totale. Nel nostro passaggio, il grande protagonista è Dio, il Padre, che guida tutta la vicenda di Gesù, fino al culmine della sua Pasqua: 'Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito'; nel contesto, con il precedente richiamo al serpente di bronzo, innalzato da Mosé nel deserto per guarire gli Israeliti dai morsi dei serpenti, il dono del Figlio è chiaramente quello che raggiunge il suo compimento nella croce, nell'offerta suprema di Gesù. Proprio Cristo, crocifisso e innalzato, è il segno che siamo chiamati a guardare, a fissare, per scoprire in esso 'la prova sperimentale dell'amore misericordioso del Padre' (Giovanni Paolo II), per essere sanati dalle ferite del peccato e della sofferenza, per avere la vita eterna. Impressiona come nei pochi versetti di questo passo di Giovanni, ritorna con forza il legame fede e vita eterna: si accede al dono della vita, la vita piena, la vita che trascende le barriere della morte, la vita stessa di Dio, solo credendo nel Figlio, nel suo nome, nella realtà profonda della sua persona. La possibilità di non camminare verso la perdizione, e di non soccombere alla morte eterna e definitiva dipende dalla fede, dalla decisione di fede che ogni uomo, raggiunto dal Vangelo, assume in verità : in questa prospettiva siamo avvertiti, il giudizio si compie ora, ed è l'uomo a fissarne i contorni e gli esiti, perché non è altro che il frutto della scelta pro o contro Cristo, che viviamo nel tempo presente. Certamente il Dio che si manifesta in Gesù, è per noi, mosso dal desiderio che 'il mondo sia salvato' per mezzo di Cristo, e tuttavia, il dono di questa pienezza di vita non è automatico, non è imposto, ma passa attraverso il sì libero e totale dell'uomo che crede, che si fida, che si affida a Cristo: 'Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio'. Da queste parole, traspare una concezione intensa e drammatica dell'esistenza presente, come luogo e tempo di libera ed amorosa adesione a Cristo, o di rifiuto e resistenza alla sua luce, e l'evangelista cerca di penetrare il mistero di questa strana opposizione che Gesù incontra nel mondo, in tanti cuori. C'è come un oscuramento della ragione e della libertà , per cui gli uomini, che sono fatti per la luce della verità , del bene, della bellezza, amano 'più le tenebre che la luce', perché le opere malvagie, inquinate dal peccato e dalla menzogna oscurano il cuore e giungono a renderlo chiuso alla luce. Queste parole non sono immagini un po' schematiche ed enfatizzate, ma esprimono una reale possibilità , che si verifica e che si può verificare nella nostra esistenza di uomini, sfidati e provocati dalla proposta di Cristo, dalla novità della sua persona: può accadere una resistenza irragionevole, non tanto al sacrificio richiesto, ma all'attrattiva di bellezza che ogni vero incontro con Cristo, nel volto e nella parola dei suoi testimoni, porta con sé. Come se avessimo paura di cedere a questo fascino e di essere privati della nostra autonomia, della nostra autodeterminazione per gestire la nostra vita: in realtà , è vero il contrario. Riconoscendo e accettando la luce di verità che promana da Cristo, l'uomo diventa veramente libero, perché può sperimentare, nella pazienza del tempo, 'la vita eterna'.Corrado Sanguineti
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento