La parola
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Accoglilo non più come schiavo, ma come fratello carissimo.

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (anno C)

Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.

 Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.

Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso. 

Paolo, ormai “vecchio”, consumato dal ministero apostolico, a motivo del quale è stato perseguitato ed è “anche prigioniero” a Roma, scrive la più breve delle sue lettere, in realtà un biglietto di raccomandazione, all'amico Filemone. Questi è un ragguardevole personaggio della città di Colosse, convertito da Paolo, che mette a disposizione la sua casa per le assemblee della locale comunità cristiana.

Un suo schiavo, Onesimo, è fuggito probabilmente anche appropriandosi indebitamente. Giunto a Roma, ha incontrato – intenzionalmente o casualmente – Paolo, i1 quale l'ha convertito al Vangelo e quindi lo considera un figlio, “generato in catene” alla vita soprannaturale. È appunto di Onesimo che si occupa Paolo nella missiva, singolarmente satura di affetto, di delicatezza, di carità sia verso Filmnone che verso Onesimo. Potrebbe tener con sé lo schiavo, ma non vuole mettere Filemone dinanzi al fatto compiuto: preferisce sia egli stesso a decidere l’emancipazione di Onesimo, oltre che il perdono e il condono delle pene previste dalla legge per schiavi fuggitivi e ladri (talora sino la condanna a morte).

Veder ripresentarsi Onesimo, per Filemone è come ricevere “il cuore” di Paolo: accoglierlo è come accogliere Paolo.

Il bene deve essere spontaneo, per essere meritorio: perciò l’Apostolo “prega” l'amico, anziché imporgli di riprendere e perdonane lo schiavo. E richiama pure il valore provvidenziale della fuga di Onesimo: infatti in tale circostanza egli si è convertito e può tornare a Filemone non più come schiavo, ma “come fratello carissimo”, perché partecipe della stessa fede e della stessa vita soprannaturale.

Filemone, da cristiano autentico, ha ora doppio motivo per emancipare Onesimo: il riconoscimento dei suoi diritti “di uomo” e il riconoscimento dei suoi diritti di cristiano, di “fratello nel Signore”. È la saggezza evangelica che anticipa in ambito spirituale – premessa per ogni altro ambito – tutte le possibili dichiarazioni dei diritti dell’uomo. È la saggezza rivelata da Dio, del quale Paolo è scrittore ispirato.

Fonte: Il Cittadino
Accoglilo non più come schiavo, ma come fratello carissimo.
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