Europa, verso un Recovery “perenne”?
All’Italia spetta il compito di attuare le riforme per avere sempre garantiti i fondi
In Europa sta cominciando a prendere forma lo scontro con i paesi del Nord sulla rivoluzionaria prospettiva di rendere permanente, o meglio "perenne", il Recovery Fund superando quindi la scadenza del 2026 e trasformare definitivamente l'Ue. Si tratta di un passaggio epocale di cui nelle cancellerie europee si sta ancora facendo fatica solo a parlarne e si sta quindi utilizzando lo strano termine "perennizzazione" per tentare di nascondere tra le pieghe della burocrazia quello che in realtà sarebbe un passo fondamentale per rendere più concreta e solidale l'unione tra i partners.
L'idea di cui stanno incominciando a discutere i capi di stato e di governo ed i parlamenti nazionali ed europeo è quella di rendere comuni i debiti pubblici, accettando quindi che i debiti dei singoli stati diventino il debito pubblico europeo che potrà essere sostenuto trasformando gli Eurobond, emessi per fronteggiare la crisi causata dalla pandemia da Covid19, in uno strumento ordinario di obbligazioni emesse dall'Unione. I primi contatti di importanti esponenti politici nazionali con la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen e con il vicepresidente Dombrovskis hanno lasciato intravvedere un'apertura, seppur molto condizionata, verso il progetto.
In particolare Dombrovskis parlando al Parlamento europeo ha dichiarato: "E' prematuro aprire un dibattito sull'opportunità di rendere permanente il Recovery. Sappiamo che la struttura è temporanea, ma più successo avremo nella sua implementazione, più spazio ci sarà per una discussione su uno strumento permanente di natura simile".
Naturalmente in Europa esistono anche forze contrarie a questa ipotesi; una mozione è stata firmata dai liberali olandesi, danesi e tedeschi, per chiedere che i soldi del Next Generation Eu vengano erogati e trasferiti solo dopo che i Paesi percettori abbiamo realizzato tutte le riforme richieste e promesse.
Paolo Gentiloni, che sarà chiamato a fine anno a presentare la sua proposta per allungare la sospensione del Patto di stabilità, ha sottolineato come "Per raggiungere questo obbiettivo noi e la Spagna dobbiamo raggiungere tutti i nostri target. Siamo i sorvegliati speciali. Il 45 per cento del Recovery è per noi. Se lo finalizziamo, nessuno potrà mettersi di traverso. Altrimenti sarà solo un esperimento per una singola stagione. E l'Italia con il debito pubblico che si ritrova non avrà più la forza di fare investimenti. Solo con il debito comune possiamo pensare di programmare il futuro".
In questo momento così difficile ha creato un grande allarme, anche in Europa, lo scontro che è immediatamente iniziato sulla riforma della giustizia; la Ministra Marta Cartabia è orientata a riprendere il modello della legge Orlando, superando la Bonafede; il M5S è entrato immediatamente in agitazione con l'ex premier Giuseppe Conte, entrato in campo per la prima volta come leader del Movimento, che ha richiesto un incontro con la Guardasigilli per difendere la riforma di Bonafede e discutere le proposte giudicate irricevibili dalla prescrizione all'inappellabilità delle sentenze. La situazione è resa ancora più complessa e difficile da gestire dalla rivolta dei magistrati del Sud contro le ministre Cartabia e Carfagna, che hanno istituito con decreto una commissione per analizzare l'organizzazione della giustizia nel Meridione ed elaborare proposte per garantirne l'efficacia.
Si sono riaperte antiche ferite, come ben chiarito da Giuseppe Visone, pm del pool anticamorra di Napoli, che parla di "iniziativa alquanto sorprendente, sia dal punto di vista dell'opportunità sia del metodo. Si manda un messaggio assolutamente sbagliato, quello di una giustizia a doppia velocità tra Nord e Sud, quando chi si occupa di giustizia sa benissimo che la situazione è a macchia di leopardo".
Lo scontro in atto sul decreto semplificazioni tra il Mite di Roberto Cingolani ed il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini (che non riescono a trovare una sintesi sul tema della velocizzazione delle procedure di impatto ambientale e di autorizzazione paesaggistica per gli impianti di energie rinnovabili che dovrebbero essere realizzati con una velocità dieci volte superiore a quella attuale) contribuisce a creare uno scenario di incertezza e paura che preoccupa i nostri partners, che vedono prospettarsi l'ipotesi peggiore in cui ancora una volta l'Italia non riuscirà a fare passi avanti nel campo delle riforme.
La Banca d'Italia ed il ministero del Lavoro confermano che la crisi del lavoro deve ancora iniziare; la previsione è di 577mila licenziamenti pronti a partire, appena le norme lo consentiranno, e il rischio che questo dato possa ulteriormente peggiorare a seconda dello robustezza del rimbalzo estivo. Le assunzioni dal mese di gennaio ad oggi sono la metà dello stesso periodo del 2019, prima della pandemia, e all'appello mancano ancora 500mila posti di lavoro con i servizi ancora fermi, i settori del commercio e del turismo devastati che in molti casi non hanno neppure le risorse economiche indispensabili per ripartire ed una crisi che ancora una volta ha colpito maggiormente le donne ed i giovani.
Il cronoprogramma del premier Draghi prevede per fine mese la governance del Pnrr ed il decreto semplificazioni a cui seguiranno il decreto concorrenza e la riforma dell'Irpef per arrivare entro la fine dell'anno al nuovo processo civile e penale.
Si tratta di obbiettivi molto ambiziosi e difficili, ma indispensabili per poter beneficiare di tutte le risorse messe a nostra disposizione da Bruxelles; risorse che non riusciremo a raggiungere se non metteremo immediatamente la parola fine a quanto sta già accadendo e cioè le continue liti tra partiti e forze politiche. E' necessario che il Parlamento resti unito e garantisca a Mario Draghi quella velocità decisionale indispensabile per riuscire a rimettere in moto l'economia del paese e garantire così un futuro sostenibile alle famiglie ed ai giovani.
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