Guerra in Europa e guerre dimenticate: ci riguardano!
La testimonianza di Lucia Goracci, inviata RAI e corrispondente dagli Stati Uniti
È un messaggio contro l’indifferenza quello lanciato da Lucia Goracci, giornalista e inviata RAI, presente domenica 19 marzo a Santa Margherita Ligure per il secondo appuntamento della “Casa del Pensiero”, il ciclo di seminari diretto dall’autore e attore Pino Petruzzelli, che per tre giorni ha coinvolto otto studenti dell’Università di Genova per confrontarsi e riflettere sul tema della guerra. Nei molti luoghi che ha calcato in Siria, Iraq, Iran, Afghanistan, Egitto, Libia, America Latina, lungo la rotta balcanica e ad Haiti la reporter si è sempre impegnata a “raccontare la storia attraverso le storie per avvicinare con empatia il pubblico a qualcosa da cui invece rischierebbe di essere disturbato. Perché la guerra è orrenda, è difficile accostarvisi e se si può si evita di farlo”.
Lei da anni racconta le periferie del nostro mondo. Papa Francesco ha ripetuto più volte che «La realtà si capisce meglio dalle periferie». Che cosa comprenderebbe meglio il nostro mondo se guardasse di più alle periferie?
Innanzitutto, che il nostro mondo è molto più confortevole di quello di molti altri. Io ho avuto la fortuna di seguire Papa Francesco a Lesbo nel dicembre del 2021 e soprattutto di farlo mesi prima nella Terra dei due Fiumi. In queste ore cade il ventesimo anniversario della guerra in Iraq e il pontefice ha avuto la forza, la dignità e la volontà di tornare in questo paese in un momento in cui era di nuovo fuori dai nostri radar. Ci è andato da pellegrino penitente, chiedendo perdono a nome di tutti quelli che non l'avevano fatto. L'Iraq è la prova di una verità che ripeto sempre: le guerre non riparate sono solo il preludio di altre guerre.
Oggi molti conflitti sono dimenticati e si consumano nell'indifferenza. Qual è il ruolo del giornalista e la responsabilità di chi si informa di fronte a tali guerre?
È un paradosso. I nostri antenati dovevano raccontarci le guerre spostandosi a dorso di mulo in cerca del telegrafo più vicino e le notizie giungevano a noi solamente mesi dopo. Oggi invece abbiamo la possibilità di disporre delle informazioni con grande velocità nel tempo e nello spazio e questo ci rende indifferenti. L'indifferenza è un rischio e l'antidoto è la partecipazione: si può andare a vedere, come faccio io, ma anche ascoltare chi tornando da quei luoghi non pretende di dispensare verità assolute, ma ricostruire e riproporre la complessità delle guerre.
Con l’invasione russa dell’Ucraina assistiamo al ritorno della guerra in Europa dopo due conflitti mondiali e il sogno dell'Unione Europea. Abbiamo sprecato la pace nel nostro continente?
Rischiamo di farlo. Ogni giorno che passa senza l'inizio di un tentativo vero di negoziato tra Ucraina e Russia è un giorno di rigetto della pace. Non dobbiamo rischiare di credere che la pace sia un disvalore. Questo non significa che non ci sia un aggressore e un aggredito, ma ci deve essere la volontà comune europea di trovare una soluzione politica. Questa guerra riguarda l'Europa, riguarda noi, le macerie sono le nostre. I nostri nonni ci hanno raccontato il prezzo di una guerra globale. Evitiamo di trasformare anche questa in un nuovo conflitto mondiale. Condivido l'idea del Papa che parla di«terza guerra mondiale a pezzi», frammenti che oggi sembrano unirsi sotto i nostri occhi impotenti. Cominciamo ad agire.
Oggi la complessità della globalizzazione si scontra con la velocità dei social, della rete Internet e dell'informazione. Come riuscire a conciliare questi due aspetti?
La velocità rischia di farci andare fuori strada. Il Washington Post ha calcolato che Donald Trump in quattro anni di mandato presidenziale abbia distribuito sui social 36.000 falsi storici, eppure un grande popolo continua a seguirlo. Questa è la sfida del momento: tornare a rendere credibile l’evidenza dei fatti. Spesso le verità parallele che ci vengono offerte dagli autocrati sono più comode e accessibili, come ha dimostrato la pandemia. Prendiamoci dunque cura dei fatti e della loro potenza contro i dispensatori di verità prefabbricate.
Ventotto anni di esperienza sono molti. Come è cambiato il suo modo di guardare la realtà nel corso della sua carriera giornalistica?
Ho sempre il desiderio di raccontarla in maniera profonda. Oggi mi sento ancora più accorata e indignata di quando avevo trent'anni. Questa esperienza alla “Casa del pensiero” ha acceso in me la voglia di lasciare un testimone perché ho trovato la risposta dei giovani estremamente appagante.
Guarda il video dell'intervista a Lucia Goracci
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