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Dopo il voto. Europa, rischio instabilità?

La scarsa affluenza sconforta. Salgono le destre nazionaliste

I risultati del voto – e del non voto – adesso li conosciamo. I sondaggi li avevano annunciati, ma qualche sorpresa c’è stata, senza tuttavia necessariamente stravolgere la mappa politica del Parlamento europeo.
Purtroppo non è stata una sorpresa la scarsa partecipazione al voto: il tasso di partecipazione medio nell’UE è stato del 51%, qualche decimale in più del 2019, distribuito a “macchia di leopardo” nei 27 Paesi membri. L’Italia nelle ultime consultazioni aveva registrato una curva discendente. Queste ultime elezioni raccontano un ulteriore caduta di partecipazione al voto scesa qualche decimale sotto il 50%.
Si può cercare una spiegazione su due piste diverse, tra loro non alternative: la scarsa, quando non scorretta, informazione sulla realtà europea, le sue Istituzioni e le sue politiche, e la caduta di consenso di fronte al progetto di integrazione europea, in difficoltà a rispondere alle attese dei cittadini in un mondo fuori controllo e con il ritorno della guerra ai nostri confini.
Su questa divaricazione si sono collocati i voti: da una parte cercando di rafforzare le forze “europeiste”, largamente maggioritarie nella legislatura appena conclusa, e le forze nazional-populiste, costrette finora nel recinto chiuso di un’opposizione in grande difficoltà ad aggregarsi.
L’ondata di destra, anche estrema – come in Francia, Germania, Austria e Spagna – insieme all’atteso risultato di Fratelli d’Italia, segna un possibile punto di svolta verso un rallentamento del processo di integrazione comunitaria, allontanando il traguardo della costruzione di un’Unione politica. Nel gioco del “chi ha vinto, chi ha perso”, la domanda di fondo resta quella di chiedersi se ha vinto l’Unione Europea.
I buoni risultati delle destre di orientamento nazionalista, quelle estreme comprese, non hanno fornito al momento i numeri per ribaltare la maggioranza delle legislature precedenti, vista anche la tenuta dei socialisti, grazie anche al buon risultato del Partito democratico italiano e al ritorno dei socialisti francesi, ma smottamenti non sono da escludere all’interno del Partito popolare europeo. Né bisogna dimenticare il numero importante dei parlamentari “non iscritti” che possono riservare sorprese all’elezione dell’attuale presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
Toccherà adesso al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo entrare nella partita della designazione dei nuovi Vertici delle Istituzioni europee. Si collocano in questo spazio, più che non nel nuovo Parlamento, le variabili politiche destinate ad impattare sul futuro dell’UE. Sono diversamente in crisi quattro dei sei Paesi fondatori, con l’Olanda alla vigilia di un governo con i liberali a sostegno della destra estrema, il Belgio da domenica con l’apertura di una crisi di governo, la Francia chiamata a imminenti elezioni politiche anticipate e la Germania con un Cancelliere indebolito in una coalizione di governo traballante. E’ ancora presto per capire chi “darà le carte”, se ancora l’inceppato motore franco-tedesco, tradizionalmente regista dell’operazione, o se nuovi attori entreranno nel gioco come da una parte, l’Italia e, dall’altra, la Polonia.

Fonte: Il Cittadino
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