La difficile realtà del carcere minorile raccontata dal Cappellano del Beccaria
Don Claudio Burgio è stato a Genova per parlare della sua esperienza
Nei giorni scorsi è stato a Genova don Claudio Burgio, Cappellano del Carcere minorile Beccaria e fondatore della Comunità Kayros, che a Vimodrone accoglie minorenni e giovani maggiorenni coinvolti in procedimenti penali.
Don Claudio è stato invitato nella nostra città da Emanuel della Libreria San Paolo, che lo ha contattato attraverso il social network Instagram e lo ha invitato a presentare i suoi due libri “Non esistono ragazzi cattivi” e “Il mondo visto da qui”, appena uscito a cura dell’editore Piemme.
Don Claudio ha incontrato i lettori lo scorso mercoledì 13 novembre prima all’Oratorio San Filippo, accolto da don Andrea Decaroli, e in serata a Molassana, dove è parroco don Luca Livolsi.
Entrambi i momenti sono stati un’occasione unica per ascoltare - da chi ogni giorno vi opera - quale sia la difficilissima realtà delle carceri minorili e delle comunità che accolgono i giovani che hanno commesso reati.
Don Claudio in San Filippo ha portato con sè tre dei ragazzi che ha incontrato nel suo servizio. Mario, A. e L. hanno aggiunto la loro voce raccontando in maniera semplice ma diretta la loro storia.
Il punto di partenza di don Claudio è uno, così come scrive nell’introduzione a “Il mondo visto da qui”: “ogni ragazzo è e rimane una storia sacra da vivere con immensa gratitudine”.
L’altro caposaldo è la fiducia. Fra giovani e adulti esiste oggi un rapporto di fiducia? E la credibilità? Giovani e adulti sono credibili gli uni agli occhi degli altri? Le storie personali che i tre ragazzi hanno voluto condividere in maniera così autentica e sincera fanno capire che le dinamiche fra i giovani e gli adulti spesso sono alla base di vicende tragiche. Anche nelle famiglie all’apparenza “perfette” si innestano meccanismi tossici, che generano rabbia, frustrazione, desiderio di fuga, senso di incomprensione.
La cronaca oggi ci restituisce reati gravissimi commessi da giovani anche contro la propria famiglia, giovani che nutrono un malessere interiore spesso tenuto nascosto o non compreso da chi sta intorno.
La detenzione in carcere a seguito di reati, nell’esperienza di don Claudio, non consente oggi una rieducazione. Il carcere è carcere, come ci hanno detto i tre giovani, e l’articolo 27 della Costituzione (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) è oggi molto lontano.
Il malessere della vita carceraria e della privazione della libertà spesso alimenta il senso di rabbia. Il ricorso a farmaci per “addormentare l’anima”, per dormire, per tranquillizzarsi, è un palliativo, anche se usato frequentemente.
L’esperienza di Kayros, con la vita comunitaria e la prospettiva della rieducazione e del reinserimento, offrono ai ragazzi che vi afferiscono la possibilità, in primo luogo, di non essere giudicati e di trovare risposte sulle proprie emozioni.
Assumersi delle responsabilità, avere cura degli altri, avere delle cose da fare, potersi esprimere… anche da qui passa per loro la strada della ripartenza.
L’obiettivo da raggiungere è la capacità di perdonare, ossia la possibilità di dare all’altro una nuova fiducia nonostante il male e il tradimento subiti.
Qui il video dell'incontro di don Claudio a Molassana
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