La vita è un bene troppo grande perchè possa essere messa in discussione
Dopo la morte di Vincent Lambert che ha riaperto il dibattito sull’eutanasia
Ancora una volta una vita è stata spezzata dalla legge umana. La morte, il momento più naturale insieme alla nascita, è stata nuovamente dissacrata dalla volontà di qualche uomo che si è arrogato il diritto di decidere, come se fosse Dio, sull’esistenza di un altro. Vincent Lambert, 42 anni, costretto a letto da 11 in stato di minima coscienza a causa di un incidente stradale, è morto giovedì scorso, 11 luglio. Lui, che nella vita faceva l’infermiere psichiatrico, si è trovato ad affrontare la pazzia che gli si accaniva contro, in una lunga battaglia che ha coinvolto i suoi familiari, i medici e le istituzioni. Ancora una volta è stato travestito di bontà l’omicidio, e anche se la morte può essere considerata una liberazione dalle sofferenze, e per la nostra fede cristiana è anche la porta verso la vita eterna, procurarla a se stessi o a qualcun altro è una facoltà che non appartiene a nessun uomo. Questa vicenda in particolare non può essere considerata un caso di eutanasia, perché di dolce, la morte di Vincent, ha ben poco: è amara, come le parole che in questi anni sono passate dalla bocca di alcuni suoi familiari, per finire sulle carte degli avvocati nei tribunali trovando infine l’applicazione con la sentenza di un giudice che ha permesso ai medici di interrompere l’idratazione e la nutrizione. Quella di Vincent è una morte per omicidio premeditato, dove il mandante ha approfittato della situazione per confondere, dividere, distruggere: ha confuso molti sull’idea di pietà, ha diviso i familiari in una lotta interna tra chi difendeva la vita di Vincent e chi lo preferiva morto, ha distrutto il corpo mortale di una persona fragile che andava accudita e difesa.
Ma oltre alla realtà della cronaca e la tristezza di come si sono svolti i fatti dobbiamo guardare alle conseguenze di questa vicenda: nonostante il dibattito sul “fine vita” sia ancora aperto e che molti Stati in Europa e nel mondo stiano producendo leggi “pro eutanasia”, la lotta contro il male non è finita.
La vita è un bene troppo grande perché possa essere messa in discussione con le parole umane dei legislatori: e per grazia di Dio abbiamo una legge di poche parole che è una pietra miliare per il comportamento dell’uomo verso il bisognoso e il sofferente. L’abbiamo sentita nuovamente nel vangelo di domenica scorsa, la parabola del “Buon Samaritano” (Lc 10, 25-37) dove un dottore della Legge dimostra di conoscere il comandamento dell’ “amare il prossimo come sè stesso”, ma non sa chi è il suo prossimo. È stupefacente come questo brano evangelico sia così aderente alla vicenda di Vincent, quasi da poterlo attualizzare puntualmente. Un uomo che cammina per la sua strada e, contro la sua volontà, si trova ferito e non più autosufficiente: passano accanto le istituzioni che dovrebbero prendersi cura di lui, lo vedono, ma tirano dritto pensando che possa essere un fardello pesante da sostenere e se ne disfano con l’indifferenza.
Solo il samaritano ha compassione e si prende cura di lui: è un uomo distante dalle logiche comuni, un uomo marginale, proprio come viene visto oggi Gesù e di riflesso ogni cristiano.
Nel concludere la parabola l’invito è di “fare come chi ha avuto compassione” e non di giudicare neppure chi non ha avuto pietà. Vincent non ha perso la sua battaglia: ha dovuto perdere la vita perché ancora una volta noi fossimo interrogati sul valore che le diamo, su quanto siamo disposti a lottare perché essa venga difesa e riconosciuta come sacra e inviolabile. Vincent è morto nel corpo, ma la sua anima vive.
E per una singolare coincidenza, in una bella canzone di Roberto Vecchioni dedicata ad un omonimo pittore “Vincent” Van Gogh, “il mondo non si meritava un uomo bello come te”, ma ringraziamo il Signore di averti donato a noi con la tua esistenza che ancora una volta ci ha ricordato l’importanza dell’amore per la vita soprattutto quando fragile e indifesa.
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