La Chiesa per l'Europa. Intervento del Card. Angelo Bagnasco al Seminario europeo ‘Nella diversità una strada comune per l’evangelizzazione’
Il discorso integrale del Presidente dei Vescovi Europei a Firenze
Di seguito il testo integrale dell’intervento “Le attese del CCEE verso le Associazioni ecclesiali per la nuova evangelizzazione” che il Cardinale Angelo Bagnasco ha tenuto sabato 17 novembre a Firenze al Seminario europeo sul tema ‘Nella diversità una strada comune per l’evangelizzazione’
Il mio intervento si articolerà su tre parole: il Continente, l’Unione Europea, la Chiesa in Europa.
1. L’Europa
L’Europa - prima di essere un territorio – è un’anima, cioè è un patrimonio di cultura, di ideali e di valori. La sua storia tormentata è stata come un lungo e travagliato parto che preparava la nascita di uno spirito, cioè di un sentire comune ma non uniforme. Platone – ragionando sulla Città-Stato – afferma che la polis è stata fondata sulla “cura dell’anima” intesa come il desiderio e la ricerca costante della verità. Quale verità?
Le grandi verità che stanno oltre le cose quotidiane e che riguardano l’esistenza degli uomini: quelle verità che danno unità, senso e profondità ad ogni scelta individuale e collettiva; verità che – senza annullarla - trasformano la pluralità dell’esistere in un’armonia coerente; che superano la frammentazione di uno stato, di una società, di un gruppo, della persona, verso una unità che non omologa. È questa ricerca e cura dell’anima che Platone vede alla base di Atene: la cura da una parte custodisce ciò che di vero l’umanità scopre a livello universale – lo custodisce e lo difende dall’errore e dalla menzogna – e dall’altra vigila sulla ricerca per non cadere nell’errore dei luoghi comuni, e non perdere l’anima di un popolo.
Ebbene, nelle diverse forme che la storia europea ha conosciuto, questa cura ha generato il Continente, una visione d’insieme nella quale il particolare trova non solo spazio, ma anche criterio per la propria autocoscienza. Questa non può prescindere dalle grandi categorie della verità, che non è registrazione fattuale di ciò che accade a livello macro e microscopico, ma anche confronto onesto sulle grandi categorie di bene e di male, di giusto e di ingiusto, di nobile e di indegno. In altre parole: senza un criterio alto e vero, che trascende le manipolazioni umane, sarà mai possibile avere una visione affidabile come affermava Platone? Venendo al Continente europeo, ciò è accaduto lentamente nei secoli, a volte per vie difficili e dolorose, ma è comunque arrivato ad un sentire comune nobile, ad un patrimonio che è dono non solo per sé ma per il mondo.
Ma come è accaduto? Non è possibile seguire il percorso nel dettaglio: basta riferirci ad alcuni nomi, come Romano Guardini, Benedetto XVI, Papa Francesco…che – con passione e documentazione - hanno scritto sul tema.
Anche in questo caso, abbiamo un esempio di quanto “la cura dell’anima” abbia rispettato, purificato, elevato e completato gli apporti di culture diverse, di istanze di popoli e Nazioni, di luoghi che vanno dall’Atlantico agli Urali. Il Vangelo, come il grande alveo di un fiume, ha accolto ogni affluente, ogni frammento di verità umanistica e – nella luce dell’Incarnazione del Figlio di Dio – ha dato forma all’uomo. La storia del Continente è segnata da gravi ombre, conflitti e violenze, drammi che nel secolo scorso hanno visto il volto del maligno: questo ricorda che il male è sempre alla porta, il male morale e il male metafisico, vale a dire quello che sta all’origine dell’essere creaturale, la fragilità insita. Ciò non toglie, però, che l’Europa abbia nel suo DNA un patrimonio umanistico di cui è responsabile di fronte al mondo e alla storia.
Il CCEE ha il compito di favorire la conoscenza della Chiesa Cattolica nei diversi Paesi, al fine di sostenere l’opera di evangelizzazione, di individuare le sfide più urgenti, di trovare le linee pastorali più adeguate, di incoraggiare le Conferenze Nazionali nei rispettivi contesti.
Fa parte di questi compiti istituzionali, fare memoria viva delle radici del Continente, affinché l’Europa non diventi un’altra cosa rispetto alla sua storia; affinché continui a volersi bene, a coltivare il proprio volto per il bene di tutti, consapevole che o l’Europa sarà cristiana o non sarà.
I Pastori della Chiesa Cattolica, insieme alle loro comunità, non hanno interessi o privilegi da difendere né in Europa né nelle rispettive Nazioni, ma sentono l’imperativo dell’amore verso l’uomo e la sua terra, amore che nasce da Cristo e ha in Cristo il criterio e la direzione.
2. L’ Unione Europea
L’Unione Europea si trova in affanno. I Presidenti delle Conferenze Episcopali d’Europa, membri effettivi del CCEE, credono cordialmente nell’Unione e ritengono che l’Europa disunita sarebbe un dramma, e forse la fine del Continente. Quanto più le spinte divisive sono forti tanto più c’è bisogno di unità, e le spinte centrifughe devono essere lette con intelligenza, senza sufficienza o arroganza. Di fronte alla globalizzazione, è evidente che solo insieme si può vivere per non diventare un mercato a basso costo. L’interesse economico di potenze antiche e nuove è palese: tocca però all’Europa Unita far fronte in modo unitario al rischio di essere “comprata” pezzo per pezzo. Ciò sarà possibile solo con una consapevolezza forte: l’Unione deve fare un onesto esame di coscienza, una intelligente verifica sul percorso svolto fino ad oggi su tre fronti: vederne i frutti positivi, individuare le difficoltà, riconoscere gli errori.
I Padri dell’Europa Unita – Schuman, Adenauer, Degasperi – erano uomini liberi, e avevano chiara la base fondativa del processo comunitario: era la visione alta dell’uomo, concepito non solo come individuo, ma come persona. Il personalismo cristiano era alla radice di quel sogno che poteva apparire utopia, ma che aveva il sapore della profezia.
L’economia e la finanza sono piedi d’argilla, che non sono in grado di reggere l’edificio, e che possono diventare impedimento a realizzare la Casa dei Popoli e l’Europa delle Nazioni. Ritorna quanto scriveva Platone: solo la cura dell’anima, intesa come verità dello spirito, dei valori morali oggettivi, della dignità della persona umana che porta in sé l’impronta irrinunciabile di Dio Creatore, la bellezza della ragione, può fondare e guidare un sentire comune, che sia rispettoso del volto di ogni popolo, dei suoi valori spirituali profondi, della sua storia di sacrificio e di lotta per la libertà e la pace. L’identità non significa esclusione, ma è la condizione di un dialogo fecondo e di una accoglienza aperta alla giusta integrazione. Il dialogo si nutre di ascolto sincero e di parola che comunica ciò che di bello e di nobile ognuno ha ed è.
Nel quadro occidentale è da considerare, inoltre, la diffusione di un individualismo esasperato che, a me pare, sia l’incrocio di almeno due fenomeni.
Innanzitutto il secolarismo, che è vivere come se Dio non ci fosse, e insieme il positivismo. Tra le due posizioni corre una complicità.
Infatti, il fare a meno di Dio deriva – sotto il profilo culturale – dal positivismo che ritiene esistere solo ciò che la ragione può misurare: tutto ciò che non può essere registrato in questo modo non esiste, o non interessa. Una ragione impoverita, cioè amputata della sua dimensione contemplativa sul perché del mondo e non solo sul come del mondo, chiaramente non ha spazio per il mistero: tutto è ridotto al visibile e al sensibile. L’immanente domina la scena, tutto diventa mutevole, la dignità dell’uomo viene identificata con la volontà dell’individuo, e l’umano si trasforma in transumano: l’uomo è a disposizione pienamente di se stesso senza alcuna regola interna (natura umana), o norma esteriore (legge divina).
In tale contesto, dove la ragione è dimezzata e il mondo della trascendenza escluso, l’uomo diventa un individuo e perde il rango di persona. Mentre questa è relazione e intreccio di legami, l’individuo è un punto talmente autonomo da essere isolato da tutto, slegato da ogni vincolo. La società si frantuma e si ritrova non come comunità di vita e di destino, ma come un agglomerato di punti. In nome di una libertà folle e vuota si giunge e negare la persona. Ma il risultato che gli esperti registrano è l’incertezza e lo smarrimento, che, nella sua forma più radicale, diventa angoscia.
3. La Chiesa in Europa
Qui si inserisce una parola sulla Chiesa, e quindi su noi come credenti in Gesù. Diverse sono le cose che si possono dire per rispondere al quesito centrale: “Le attese del CCEE verso le associazioni ecclesiali per la nuova evangelizzazione”. Nel tema che mi avete affidato è chiaro che la risposta più necessaria è Gesù Cristo: Ma come fare? È possibile in un tempo che sembra diventato indifferente e che tutto brucia? È possibile in una cultura che spinge l’uomo ad un individualismo illusorio e folle che divide singoli, popoli, Nazioni e Stati? Che spinge a guardarci attorno con sospetto, a sentirci estranei anziché prossimi, orfani anziché fratelli? Che ostenta allegria ma nasconde angoscia? Che avanza nello sviluppo scientifico e tecnologico, ma sembra arretrare nei sentimenti? Mi limito a indicare tre piste.
a) La prima
è la testimonianza
Gli Apostoli, giunti a Roma, hanno segnato una differenza nello stile di vita dell’Impero decadente, uno stile evangelico. E – cosa non piccola - non hanno avuto paura di apparire diversi: diversi tanto da essere criticati, derisi, perseguitati e uccisi. Chi, infatti, dentro ad una società non si omologa al modo di vivere comune, viene facilmente emarginato, guardato con un certo sospetto. Inoltre, non di rado si ritiene che la ricerca di uno stile evangelico nasca dalla paura di essere assediati dal mondo che invece dovremmo amare, e sembra che induca alla presunzione di essere giusti e perfetti. Sono tutti slogan vuoti! Basta pensare a noi: certamente nessuno si ritiene migliore, solamente cerca – con santa ostinazione - di essere fedele a Gesù che ha acceso un mondo nuovo, e di questa novità Egli rende l’uomo capace con la sua grazia. La coerenza della vita – come ricorda il Santo Padre Francesco – è indispensabile affinché sulle nostre labbra l’annuncio sia credibile: i santi di ieri e di oggi lo attestano. Lontani da ogni forma di pelagianesimo vecchio e nuovo, sappiamo per esperienza che Cristo è la meta della nostra vita, ma anche la sorgente perenne della grazia. Fuori di Lui non c’è salvezza
b) La seconda pista è la parola
Il santo Pontefice Paolo VI, nell’enciclica Ecclesiam suam, subito dopo la testimonianza della vita pone l’annuncio della parola. Senza l’annuncio esplicito di Gesù– diceva il Papa – la testimonianza rimane un interrogativo senza nome. Egli è Dio, il Salvatore, Colui che ci ha redenti dal peccato origine di tutti i mali, ci ha donato la vita della grazia, ci ha resi creature nuove, con Lui è iniziato un mondo nuovo che avrà compimento alla fine d tempi; Egli è il pane della vita, la parola di salvezza, la nostra speranza, l’uomo vero, Colui dove l’umanità si realizza nella sua dignità e nella sua bellezza; Lui è il nostro principio e il nostro destino, il compagno di strada, la risurrezione e la vita. Questa convinzione non viene dall’esterno, ma è un’esperienza personale: se Cristo è veramente il tesoro nascosto nel campo, la perla preziosa, la ragione della nostra vita, allora non possiamo tenerlo per noi. Un fuoco ci spinge a condividere la bellezza che ci è stata donata perché la gioia sia piena.
Egli ci invita ad essere nel mondo senza essere del mondo. È possibile questo? In una civiltà relativistica, ogni atto non è giudicato in base al contenuto, ma in base alla sua origine: se è libero ha valore. La qualità morale, dunque, non è data da un intreccio di contenuto, circostanze e libertà, ma dalla scelta individuale: se l’atto è una scelta, è eticamente legittimo.
Su questa base, che rispecchia una antropologia non personalista, si vuole costruire lo stare insieme ai diversi livelli di singoli, di società e di stati. Ma l’albero si vede dai frutti. Quali sono i frutti di questo albero culturale? L’uomo occidentale è oggi più felice, le società più vivibili, umane, solidali? Destabilizzare la famiglia è destabilizzare l’uomo e la società.
Annunciare che Gesù è il Signore significa svelare la sorgente della vita nuova di cui tutti dobbiamo essere umili artefici, una novità che ha il potere di interrogare e bisogno di spiegarsi.
c) La terza pista è la casa
Il cristianesimo crea casa, spazio cioè dove ognuno è riconosciuto. Dove può vivere relazioni nel segno di Gesù. Nei molti deserti umani, le comunità cristiane devono essere delle oasi di benevolenza, dove ciascuno può entrare, riposare, dissetarsi e riprendere il viaggio.
La casa non è primariamente un luogo, ma uno spazio di relazioni; richiede un tetto, ma soprattutto una comunità di persone.
È chiamato in causa il modo del nostro stare insieme, si gioca il nostro stare nel mondo e la possibilità della stessa evangelizzazione. Possiamo dire che la modernità – che ha tante luci che la Chiesa riconosce e apprezza – spesso è intesa come l’età adulta di un’umanità finalmente libera dalla superstizione, emancipata e matura, che ha preso in mano se stessa e il proprio destino; che ha rifiutato ogni eteronomia in nome dell’autonomia assoluta. Però – così mi sembra – quanto più questo modo di pensare avanza e rivela le conseguenze di questo modo di vivere, tanto più si risvegliano nel cuore umano i desideri più veri e profondi. Si tratta dell’inquietudine di sentirsi incompiuti, di essere creature di confine, fra terra e cielo, di avvertire che siamo sempre di più di quello che appare: siamo un grumo di tempo che tende verso l’eterno della vita, dell’amore, della bellezza. Per questo possiamo dire che il migliore alleato del Vangelo non sono le nostre organizzazioni, le risorse, la cultura dominante, la politica…il migliore alleato è e resterà l’uomo.
L’uomo è relazione, compagnia perché viene dal cuore della Trinità che è amore. Ecco perché i credenti non sono reperti di archeologia, residui di un mondo moribondo o morto, ma al contrario sono i messaggeri del futuro, gli araldi di un giorno che a volte sembra sfocato ma che è presente e non può tramontare.
Dobbiamo però crescere nella fede: le nostre associazioni devono essere luoghi dove non si fa innanzitutto qualcosa, ma ci si aiuta nella fede, ci si sostiene nella fedeltà al Vangelo, si condivide l’esistenza, dove si sente il focolare della comunità. Sappiamo che non è facile, perché la ferita dell’antico peccato pesa, ma sappiamo anche che la grazia e la compagnia dei fratelli sono più forti, che la misericordia di Cristo abbraccia ogni tradimento e rigenera alla luce.
Ecco che cosa vi chiediamo, cari Amici: in stretta comunione con la Chiesa Diocesana e Universale, non gruppi che si isolano in modo autorefernziale, preoccupati della propria sopravvivenza o del proprio successo, ma – più in grande – dei luoghi di fede semplice e profonda, che tengano accese le domande vere che l’uomo moderno nasconde in sé; degli spazi dove la parola del Risorto risuoni e si faccia vita, dove la liturgia sia incontro con il mistero di Dio e del vortice trinitario, dove le ferite e le stanchezze di uno sono sostenute dalla preghiera e dalla vicinanza di tutti.
Dove ognuno possa ritrovare se stesso incontrando il volto di Gesù e l’oasi dei fratelli; dove lo slancio della missione diventi motivo di coraggio e di gioia per tutti, dove l’amore per il nostro Continente non ci faccia mai arrendere, dove ogni agorà istituzionale ci trovi presenti, messaggeri fiduciosi e intelligenti per testimoniare, annunciare e argomentare nelle diverse questioni della vita, della famiglia, della povertà, una libertà nuova, un mondo dove ogni popolo possa sentirsi a casa. Allora sarete attrattivi e – nella comunione effettiva ed affettiva con i vostri Pastori – sarete parte viva della Chiesa del nostro amato Continente.
*Presidente del CCEE
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