Cristo. I ritratti
Mario Dal Bello prosegue lo studio del rapporto tra arte e religione, prendendo in esame, con questo suo ultimo lavoro, i ritratti di Cristo nel mondo occidentale a partire dai primi secoli dell'era cristiana fino ai nostri giorni. In particolare l'autore compie la sua ricerca soffermandosi su cinque passaggi epocali, offrendo così al lettore una contestualizzazione storica e teologica delle immagini di Cristo.
Per molti l’immagine dell’Uomo della Sindone corrisponde alle fattezze reali di Cristo. Il volto lungo, la chioma sparsa, la barba folta e divisa: è l’iconografia tradizionale in cui milioni di persone sono abituati a riconoscere la figura del Redentore. Il modello è sempre identico: Cristo è giovane, bello, dalla lieve barba e con i capelli fluenti sulle spalle. Ma il Redentore non è stato sempre raffigurato in questo modo. Scopriamo infatti che nei primi secoli esistono due immagini diversificate di lui. Uno dei primi “ritratti” è una statua del IV –V secolo che lo raffigura come Docente, in vesti classiche, il volto glabro e ricciuto, simile ad un Apollo. E’ il Risorto, Maestro e Pastore, come lo troviamo nel V secolo nel Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Nella stessa epoca Gesù viene raffigurato anche come un filosofo orientale, il volto lungo, la barba scura e divisa, il libro dei vangeli in mano, seduto sopra un trono: ad esempio, a Roma, nel mosaico a Santa Pudenziana e nella celebre tavola del monastero di Santa Caterina sul Sinai, dai tratti personali che hanno fatto pensare ad una “vera” immagine di Cristo. Certo, nei primi secoli dell’era cristiana, l’esperienza della resurrezione informa ogni espressione d’arte, e il Cristo, sia nei simboli – la croce gemmata – sia nelle raffigurazioni è il Re solare, il Maestro, il Pastore mite e forte. Dal VI secolo in poi l’immagine dell’Uomo barbuto e solenne diventa vincitrice, ma si differenzia nel cristianesimo orientale e occidentale. Il Cristo del mondo bizantino –erede della tarda romanità – è il “Pantocratore” risplendente nei mosaici – da Bisanzio a Firenze a Roma a Monreale – e nelle icone, immagine della gloria. L’Occidente, invece, inizia a rappresentare anche la crocifissione, accentuando l’umanità del Redentore nei crocifissi romanici attenti al corpo, massiccio e regale, anche nella morte: è il Cristo triumphans, con gli occhi aperti alla vita nuova che dona. Ma a partire dal secolo XIII, anche grazie all’influenza francescana, - mentre l’Oriente rimane nelle variazioni sul tema – il Cristo diventa patiens: nelle Croci dipinte – da Cimabue a Giotto - delle chiese gotiche, egli è nel sonno della morte, stimolando così la pietas del fedele. Quest’immagine, dal ‘300 al ‘500, sulla spinta della spiritualità della “devotio moderna”, si carica di emotività nelle Deposizioni, Pietà, Calvari e Volti Santi dei grandi artisti (Masaccio, Angelico, van Eyck, Grunewald, Botticelli, Bellini), convivendo con la classicità riscoperta che vede nel Cristo l’Uomo perfetto (Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Tiziano). Negli anni del Concilio Tridentino, la Chiesa vuole che l’arte commuova, inciti alla ”conversione”. Così, se Michelangelo nel Giudizio “riscopre” il Cristo glabro paleocristiano, altri indagano i temi della Passione e dell’Eucarestia: con realismo (Caravaggio), toni mistici (Tintoretto, El Greco, Rembrandt), patetici (Guido Reni, van Dyck, Murillo), e trionfalistici (Rubens). Il Cristo barocco dei secoli XVII-XVIII nelle decorazioni di chiese e conventi è un trionfatore dai tratti gentili e forti che giungono nel Settecento all’iconografia “sentimentale” del Cuore di Gesù. Essa rimane durante l’Ottocento e oggi come il popolare “ritratto” di Cristo in opere che ripetono schemi perugineschi o raffaelleschi. Tuttavia, sino da allora, è singolare il fatto che diversi artisti, credenti o meno, trattino quasi esclusivamente la Morte del Cristo (Gauguin, van Gogh, Dalì, Bacon, Guttuso): il Crocifisso, dai tratti irregolari, diventa icona del secolo del “lutto”. A dire che, anche se non esiste il “vero” ritratto del Messia, ne esistono tanti quanti l’uomo di ogni epoca ha voluto vederne, perché in lui l’Umanità contempla sé stessa.
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