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A un amico che non crede

A un amico che non crede

Ci sono libri densi, densissimi, che conducono a indagare sulle soglie estreme del pensiero. Ma ci sono autori colti e sapienti, artisti dell'umano, che sono capaci di condurre il lettore al cuore più profondo di queste questioni estreme, guidandolo con delicatezza e rispetto. Chi, nei giorni scorsi, si è cimentato veramente con la lettera scritta da papa Francesco a Eugenio Scalfari, ha fatto esperienza di questa chiarezza: il Pontefice non si è sottratto alle domande del giornalista, affrontando di petto anche le provocazioni più evidenti, ma con una semplicità e una chiarezza che ha conquistato tutti, con il candore evangelico di chi non guarda al ruolo, ma risponde alle domande che chiunque gli pone. Per questo vale forse la pena di prendere in mano il libro "A un amico che non crede" scritto da monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e della Federazione Biblica Internazionale per le edizioni Piemme (251 pp., 16,50 euro). Innanzitutto perché, prima del Papa, Paglia è stato protagonista di alcuni interessanti dialoghi con Scalfari (ma anche con altri protagonisti della laicità dialogante italiana e internazionale): a maggio fu proprio la Repubblica ad ospitare una lunga recensione del libro dell'arcivescovo a firma del suo fondatore. Ma poi perché la lunga e densa lettera dell'ex vescovo di Terni smantella un pregiudizio diffuso, cioè quello di una sorta di "eresia" delle posizioni dialoganti all'interno della Chiesa cattolica, di cui l'emblema sarebbe la lettera di un Papa dialogante, in aperta discordanza (questa la posizione di Scalfari nella prosecuzione del dialogo con Jorge Bergoglio) con i Pontefici che lo hanno preceduto. Troppo facile ritornare allora al Paolo VI della Populorum Progressio, per il quale il mondo soffriva "per mancanza di pensiero" e che rivolgeva un accorato appello agli uomini di riflessione e di pensiero "cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona volontà" per pregarli di cercare "le vie che conducono, attraverso l'aiuto vicendevole, l'approfondimento del sapere, l'allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale". Ma è lo stesso Vincenzo Paglia - ricordando il lungo percorso che lo ha condotto, come assistente spirituale della Comunità di Sant'Egidio, a cercare il dialogo con molti differenti esponenti del pensiero laico - che spiega come "l'occasione per tornare su questo tema mi è stata offerta da Benedetto XVI che ha invitato i credenti a riflettere sulla fede, una dimensione della vita che coinvolge in profondità chi crede e che oggi richiede un'attenzione rinnovata per viverne con entusiasmo tutta la forza di cambiamento". Nell'Anno della fede, Paglia "spiega" la fede ai non credenti e lo fa a partire un punto di vista a suo dire imprescindibile: "Vorrei indicare nel terreno dell'amicizia - scrive - il luogo per affrontare in maniera serena e profonda le tematiche della fede". Veramente non si può comprendere la fede se non si parte dall'amicizia, che è la chiave per penetrare l'esistenza, per aprire le porte del cuore e dell'intelligenza. La parola chiave di questo libro è, forse, il "mistero": se i pensatori vogliono prendersi sul serio, è la tesi di Paglia, "è indispensabile che scendano nella profondità delle rispettive convinzioni per cogliere il mistero di quell'Oltre che ci interroga e ci avvolge".
Non si può far partire un dialogo - insegnava il saggio papa Giovanni XXIII da ciò che divide: dalle questioni etiche più controverse, dalle domande laceranti sulla vita, la morte, la scienza. Ma forse occorre partire da ciò che unisce, quindi, innanzitutto, dal dubbio, dal limite, dagli interrogativi essenziali. Soprattutto perché i tempi sono cambiati e oggi, affermava Régis Debray, "l'oppio del popolo" non è più una religione, ma "il sonnifero mediatico che sta nelle mani del denaro e della facilità".

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