La parola
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5a Domenica di Quaresima (anno B), Giovanni 3-14-21

Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto

«E’ venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

Nel vangelo di Giovanni, dopo l’entrata di Gesù a Gerusalemme, acclamato quale “re d’Israele” (Gv 12,12-19), abbiamo questo passo nel quale alcuni pellegrini greci, probabilmente proseliti o timorati di Dio che avevano aderito al giudaismo, saliti alla Città Santa per la festa di Pasqua, manifestano il desiderio di potere incontrare il Maestro di Nazaret: “Vogliamo vedere Gesù”. Agli occhi dell’evangelista, una tale domanda segna la vita dei credenti che leggono e ascoltano il suo racconto, e in certo modo, in questa richiesta c’è l’eco del desiderio, mai totalmente sopito nel cuore dell’uomo, di potere “vedere” il volto del Mistero, di poter contemplare “faccia a faccia” il Dio vivente che ora si mostra a noi nell’umanità di Gesù. L’evangelista, inoltre, accentua il passaggio di questa domanda che è affidata a Filippo, e da questi ad Andrea, due discepoli della prima ora, che portano nomi greci, e insieme, alla fine, vanno da Gesù per riferire la richiesta dei pellegrini greci. In questa catena di persone siamo coinvolti anche noi, che non accediamo a Cristo direttamente, ma attraverso la testimonianza dei primi discepoli, ora raccolta nella narrazione evangelica, e attraverso l’incontro reale con credenti che ci precedono e ci testimoniano la fede, nella semplicità e concretezza della comunità cristiana. La risposta di Gesù è, come spesso accade nel quarto vangelo, sorprendente e a prima vista strana, perché Cristo sembra non accogliere il desiderio di questi anonimi pellegrini, non si offre ad un incontro con loro: di fatto, non sono più menzionati nel racconto, escono come di scena. Per di più, le parole che Gesù pronuncia, sembrano piuttosto rivolte ai discepoli che si sono avvicinati a lui e ai futuri uditori e lettori del vangelo, indirizzando l’attenzione sugli eventi futuri che stanno per compiersi, e che riveleranno la vera gloria di Cristo. A ben guardare, però, Gesù sta offrendo una risposta, che, in effetti, coinvolge non tanto quei greci saliti per la festa a Gerusalemme, ma soprattutto i discepoli, dai primi fino a noi che ora ascoltiamo questa parola. Se vogliamo “vedere Gesù”, se vogliamo comprendere davvero come lui è “re d’Israele”, secondo l’acclamazione delle folle festanti evocate poco prima, dobbiamo guardarlo nella sua ora, nella quale si compie l’innalzamento del Figlio dell’uomo, sulla croce. Prima ancora di entrare nella narrazione dell’ora di Gesù, Giovanni ci dà la chiave di lettura di questi avvenimenti drammatici, che culmineranno nella crocifissione e morte di Cristo, “re dei Giudei” deriso e impotente, e tutto questo dramma va compreso secondo una logica paradossale, nella quale la gloria accade nella più profonda umiliazione, e l’autentica fecondità si realizza nell’oscurità della morte. Viene l’ora nella quale il Padre glorifica il Figlio dell’uomo, ma per una via inattesa e sconvolgente, che si rende visibile nel segno dell’Innalzato e del Trafitto. La croce, che sta al centro della liturgia di queste ultime domeniche quaresimali, è luogo di un innalzamento, che, da parte degli uomini, è totale abiezione e sommo abbassamento, ma da parte di Dio è esaltazione e glorificazione di un amore estremo, più potente della morte. Gesù è “il chicco di grano” che, “caduto in terra”, muore e produce molto frutto: invece, un seme che rimane solo, che non accetta di immergersi nella terra e di morire in essa, è destinato ad essere infecondo, non comunica vita. Qui siamo nel cuore del mistero pasquale, che svela la verità di ogni esistenza umana, chiamata a perdersi per ritrovarsi: “Una vita che non si dona è morta. Chi vuol trattenere il respiro, muore soffocato. Si vive perché si inspira e si espira: la vita circola in quanto ricevuta e data per amore” (S. Fausti). Sulla croce, dunque, possiamo “vedere Gesù”, possiamo scoprire il segreto della sua vita di Figlio unigenito del Padre, che comunica la vita ai suoi fratelli, consumandola per loro, amandoli “sino alla fine” e così, possiamo “vedere” Dio che si manifesta pienamente come amore sovrabbondante e senza misura. Così il Figlio dell’uomo, innalzato sulla croce, ci attira tutti a sé, se abbiamo la disponibilità a non opporre alcuna resistenza e ad assecondare la gloria, la bellezza di un amore crocifisso e donato: “Cristo me trae tutto, tanto è bello!” (Jacopone da Todi).

Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto
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