XXV Domenica Tempo Ordinario (Anno C), Lc 15,1-32
Non potete servire Dio e la ricchezza
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’ amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”.
Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
La realizzazione del benessere – somma dei beni terreni che consentono una esistenza senza preoccupazioni vitali – costituisce lo scopo immediato dell'attività dell'uomo, a livello personale e sociale.
Tale impegno non può tuttavia realizzarsi a scapito della dignità umana, sia propria che altrui: il benessere non può essere assolutizzato, perché seppur rappresenti lo scopo immediato delle occupazioni dell'uomo non può esaurire tutte le aspirazioni dell'uomo.
Pertanto il benessere non deve essere ricercato a qualsiasi costo, anche a costo di sopraffazione, disonestà, raggiro.
Di ciò debbono essere particolarmente consapevoli coloro che hanno responsabilità di governo, di conduzione della convivenza sociale. Ed affinché questa consapevolezza resista ad ogni tentazione contraria, i membri della società sono impegnati a pregare.
Il benessere non è fine a se stesso e non è scopo ultimo dell'uomo, il quale ha destinazione eterna, alla quale deve commisurare invece tutto, anche il benessere.
Il benessere è autentico quando ha valenza eterna, quando cioè è impiegato in maniera da avvicinare l’individuo e il suo prossimo a Dio.
Gesù costruisce la parabola, come in altri casi, probabilmente rifacendosi ad un fatto realmente accaduto e quindi noto agli ascoltatori.
Lo scopo non è, evidentemente, di lodare la scaltrezza disonesta del fattore (che imbrogliando ancora una volta il padrone fa in modo di poter campare senza lavorare o mendicare), ma di rilevare innanzi tutto quanto “i figli di questo mondo”, ossia i perversi, siano più impegnati nel male, che non, “i figli della luce”, i cosiddetti “buoni”, nel compimento del bene.
Quindi Cristo ribadisce il concetto che i beni terreni non sono da disprezzarsi, ma da usarsi in maniera tale che servano alla virtù di chi li possiede e a quella di chi, non possedendoli, tuttavia ne dev’essere reso partecipe.
II denaro è detto “ricchezza disonesta”, perché anche quando è stato accumulato onestamente, facilmente porta allo sfruttamento, all'egoismo l'uomo, che invece è invitato da Cristo a donarlo a chi non ne ha – “farsi degli amici” – ad impiegarlo in opere buone, affinché sia strumento di merito e titolo di accesso “alle dimore eterne”.
La ricchezza è data all'uomo perché se ne serva in vista della vita eterna e non perché, rendendosene schiavo, ne faccia lo scopo della sua esistenza. Pertanto se l'uomo si fida della ricchezza – “mammona” è personificazione del denaro, al quale ci si affida come a idolo – non può fidarsi di Dio ed allora non può entrare nel suo Regno.
E mentre l'uomo può servire Dio, impiegando i beni terreni al suo servizio, non può presumere di servire il benessere, piegando Dio alle proprie mire, che rimangono comunque meschine.
Il retto uso dei beni terreni è premessa per il conseguimento dei beni eterni. In caso contrario non c'è da illudersi: “Se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta (ossia terrena), chi vi affiderà quella vera?” (ossia quella eterna).
Così come il rispetto dei beni altrui e la devoluzione dei proprie disponibilità a beneficio degli altri è condizione per ottenere l'autentica ricchezza, quella “propria”, che costituisce autentico e personale patrimonio eterno. Intangibile.
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