Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per gli amici
VI Domenica di Pasqua (domenica 6 maggio)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
La salvezza, alla quale si accede mediante la fede, l’adesione a Dio che invita, non è riservata a qualche gruppo, ma destinata a tutti, poiché nessuno può vantare titoli di privilegio. Dio è amore, amore infinito, destinato a tutti. Egli per i peccati di tutti ha donato come vittima il suo Figlio. Ed allora l’adesione a Dio si concretizza nell’amore, cioè nell’attuazione della volontà divina.
La volontà divina è volta all’amore dell’uomo, pertanto fare la volontà divina equivale a volere il bene dell’uomo. Amarsi gli uni gli altri, senza discriminazioni, è vivere di Dio.
Nel lungo monologo, che si protrae tra la conclusione dell’Ultima Cena, nel Cenacolo e l’arrivo al Getsemani, Gesù – dopo essersi identificato con la “vera vite”, a cui i discepoli debbono restare uniti, come tralci, onde poter essere portatori di frutti – approfondisce e dilata, nella dimensione dell’amore, la portata dell’espressione “rimanere in lui”, equivalente ad essere avvolti dall’afflato dell’amore divino, che va dal Padre a Gesù e da questi ai discepoli, nella stessa misura infinita: “come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”.
L’amore è dunque la linfa vitale che Gesù mutua dal Padre e trasfonde nei discepoli. Ma l’amore non può essere accolto passivamente: deve essere vissuto. Di qui l’esortazione intensa di Gesù: “rimanete nel mio amore”. Come si rimane nel suo amore? Adeguandosi alla sua volontà di amore, espressa nei Comandamenti. È l’unica possibilità, la stessa attuata già da Cristo stesso: “come io ho osservato i Comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. Non c’è alternativa.
L’amore così vissuto – autentico “volere il bene” ideato da Dio – è fonte di gioia, di gioia divina, piena, senza sacche di insoddisfazione, di rimpianti: “questo vi ho detto – precisa Gesù – perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
Ancora: nell’idea di amore, di “volere il bene”, nella prospettiva divina c’è l’amore verso i fratelli.
Un amore, non etereo, ma concreto: “questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri”. Insomma si diventa partecipi dell’amore di Dio, facendo la sua volontà, “osservando i suoi Comandamenti”, i quali si enucleano nel comandamento dell'amore fraterno reciproco.
E la misura di quest'amore? La stessa realizzata da Gesù: “come io vi ho amati”. Una misura che attinge i confini del sacrificio della vita: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. In effetti – spiega ancora Gesù – i discepoli sono “amici e non servi”, altrimenti non sarebbero stati messi a parte di “tutto ciò che egli ha udito dal Padre”: la rivelazione di realtà intime è riservata a chi è più vicino, all’amico, non all’estraneo (quale, soprattutto nella mentalità dell’epoca è specialmente il servo o lo schiavo).
L’amico però è chiamato a corrispondere amicizia, la quale si traduce nel compiere la volontà dell’amato: “voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando”.
Gesù rimarca pure che l’essere suoi amici è qualcosa che va al di là di ogni aspettativa umana e quindi di ogni iniziativa umana: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.
Nel caso degli Apostoli, ai quali il discorso è rivolto direttamente, la scelta di Gesù ha duplice valore: chiamati alla fede e al ministero apostolico.
Così “il frutto” è da intendersi sia a livello di vita personale che e a livello di vita apostolica. E – stante l’impegno di “portare frutto” – il Padre concede tutto quanto gli viene chiesto “nel nome” di Gesù, riferendosi al suo amore, vissuto e teso costantemente al suo comandamento, che va scolpendo: “amatevi gli uni gli altri”.
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