Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, Gv 6, 51-58
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
L’esperienza dell’Esodo fu penosa, specialmente per la fame, ma gratificata dal dono prodigioso della manna. Esperienza, in cui gli Israeliti comprendono che non possono far a meno di Dio, del suo pane e della sua parola.
In Cristo l’uomo può saziare il bisogno, la fame di Dio, di comunione con lui e con i fratelli.
Perché è Cristo il pane celeste vero, che trasmette la sua stessa vita divina.
Nella sinagoga di Cafarnao, Gesù sta concludendo il corposo discorso, in cui presenta se stesso come “pane vivo”, da credere” e da “mangiare”, illustrando quanto realizzerà nell’Ultima Cena.
Discorso che, assai impegnativo per gli ascoltatori Gesù – certamente non a caso – ha fatto precedere e quindi ha preparato con due miracoli: il giorno prima ha moltiplicato pani e pesci, sfamando una moltitudine; poi, durante la notte, ha raggiunto la barca degli Apostoli camminando sulle acque del lago di Tiberiade.
In riferimento alla manna, cibo prodigiosamente “donato dal cielo” agli ebrei dell’Esodo, Gesù afferma che ormai è lui “il pane vivo disceso dal cielo”. Pane “vivo”: ogni altro pane, non è vivo.
La manna – seppur con caratteristiche speciali, per intervento divino – era cibo naturale. Gesù, invece, non soltanto è “vivo”, ma davvero è “disceso dal cielo”.
Gesù dichiara che colui il quale si ciba di “questo pane vivrà in eterno”, poiché si identifica con l’umanità – “la carne” – di Gesù stesso, offerta in sacrificio “per la vita del mondo”, ossia per salvare gli uomini dalla morte eterna, conseguente al peccato.
I Giudei rimangono allibiti: “come può costui darci la sua carne da mangiare? In quel “come” sono condensate meraviglia (come è possibile?) e curiosità (se è possibile, in qual modo?).
Gesù solennemente – “in verità, in verità vi dico” –conferma e precisa che “carne la da mangiare” e “il sangue da bere” appartengono a lui e, poiché egli è “il pane vivo”, la sua vita soprannaturale può essere comunicata solo a chi si ciba di lui. E questa vita soprannaturale è premessa certa di “risurrezione nell’ultimo giorno”, quello della fine del mondo.
E a scanso di equivoci o di interpretazioni simboliche rimarca che la sua carne e il suo sangue sono “vero cibo” e “vera bevanda”.
Come il cibo si trasforma in chi lo assume così, chi si ciba di Cristo, ne diventa “dimora”, tempio vivente, si trasforma in lui e da lui trae vitalità, allo stesso modo che Gesù ha ricevuto vitalità dal Padre.
Gli ebrei dell’esodo hanno usufruito della manna prodigiosamente procurata da Dio, ma soltanto per il loro sostentamento fisico: “questo pane” invece dà sostentamento spirituale e destina alla vita eterna.
La dimensione “eucaristica” delle parole di Gesù non può essere compresa dai suoi ascoltatori, quel giorno – ai quali egli chiede solo fiducia nella sua parola e nella sua promessa – ma diventerà chiara dall’Ultima Cena in poi.
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