La parola
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4a domenica di Pasqua - anno B, Gv 10,11-18

Il buon pastore dà la propria vita per le pecore

Il passo di Giovanni che è offerto al nostro ascolto, in questa domenica del 'Buon Pastore', è uno dei più suggestivi del quarto vangelo, perché, con pochi tratti, è evocata tutta la ricchezza del mistero pasquale.

Il buon pastore dà la propria vita per le pecore

Il passo di Giovanni che è offerto al nostro ascolto, in questa domenica del 'Buon Pastore', è uno dei più suggestivi del quarto vangelo, perché, con pochi tratti, è evocata tutta la ricchezza del mistero pasquale. Da una parte, c'è l'annuncio del gesto supremo di Gesù, che come pastore, appassionato del bene delle sue pecore, giungerà a dare la vita per i suoi: il verbo che usa l'evangelista 'deporre la vita' è lo stesso utilizzato all'inizio della cena d'addio, quando il Signore depone le vesti per lavare i piedi dei discepoli, e proprio l'azione simbolica della lavanda dei piedi prefigura la passione, la croce, l'atto di Cristo che liberamente, dona se stesso per il suo gregge. Un pastore che, paradossalmente, si fa agnello, 'pecora muta di fronte ai suoi tosatori', un pastore che giunge all'estremo, superando ogni misura umana, perché se è vero che ogni pastore corre dei rischi e dei pericoli per difendere le sue pecore, è qualcosa di eccedente il gesto di un pastore, che arriva a morire, pur di salvare il suo gregge. Eppure l'amore di Cristo giunge fino alla fine, il suo legame con coloro che il Padre gli ha dato, la sua cura, che sa abbracciare l'insieme del gregge, e ciascuno dei suoi, si esprime nell'ora della croce. D'altra parte, le parole del Vangelo annunciano già l'esito vittorioso della risurrezione, perché Gesù afferma di avere ricevuto dal Padre il potere di dare e di riprendere la sua vita, ed è ciò che accade nella Pasqua: la vita donata, consumata per amore, non è perduta, ma è ritrovata in pienezza, è riacquistata nella nuova condizione del Risorto. Così si mostra la fecondità di un'offerta senza limiti, in totale fiducia nella fedeltà del Padre: 'Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso'. Impressiona l'insistenza di Giovanni, nel delineare la libertà del dono, nella certezza dell'amore del Padre, e qui si coglie il segreto profondo della vita e della morte di Gesù, la sua dedizione sconfinata per gli uomini, chiamati a diventare 'un solo gregge, un solo pastore'. Percorrendo le espressioni che descrivono l'atteggiamento del buon pastore, possiamo rinvenire i caratteri propri dell'amore di Cristo, reso gesto e parola nel rapporto con i suoi, ma in realtà sempre operante nella vita dei discepoli di ogni tempo. Un amore che dice appartenenza, perché le pecore sono di Cristo; un amore che assume i tratti della sollecitudine attenta e totale, perché al pastore importa delle sue pecore; un amore che non fugge di fronte al pericolo, che non permette che le pecore siano strappate e disperse dai lupi; un amore che è conoscenza personalizzata, non generica di ciascuno a lui affidato; un amore, infine, che si rivela nel gesto ultimo, del dare la vita, per riprenderla, per sé e per tutti. Certo, nelle parole del quarto vangelo, s'intravede anche il volto autentico di chi è chiamato, nella comunità dei credenti, ad essere segno di Cristo pastore, e non possiamo ascoltare questo passaggio, senza avere negli occhi e nel cuore la testimonianza, spesso silenziosa e quotidiana, di tanti pastori, di santi sacerdoti, di umili preti che fanno trasparire i tratti di Gesù, nella loro umanità fragile, eppur plasmata dallo Spirito. Ma nello stesso tempo, si delinea il volto del discepolo, di chi afferrato da Cristo, in un cammino di appartenenza e d'immedesimazione con lui: c'è una relazione di reciproca conoscenza tra Gesù e ciascuno dei suoi, e la fede cristiana prende consistenza e forma, nell'accadere di una tale rapporto, personale e comunitario; c'è la cura di un ascolto - 'ascolteranno la mia voce' - che nuovamente riguarda l'insieme della comunità, a cui si appartiene, e la singola persona, nell'irripetibile percorso della sua esistenza; e c'è infine, una profonda identificazione, tra i discepoli e il loro Signore, tanto che sono chiamati a diventare 'un solo pastore', in una comunione vitale così intensa, da rivivere lo stesso paradosso della Pasqua. Solo una vita non tenuta per sé, ma donata in totale disponibilità a ciò che il Padre chiede, è una vita feconda, che risorge, che vince la morte, è una vita che può essere ripresa, è sorgente inesauribile che disseta altri fratelli.Corrado Sanguineti

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