Natale del Signore , Gv 1, 1-5; 9-14
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare tra noi
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'- hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
La liturgia natalizia ci guida a contemplare l'evento della nascita di Gesù, in tutte le sue dimensioni: se, infatti, i vangeli della Messa della Notte (Lc 2,1-14) e della Messa dell'Aurora (Lc 2,15-20), ci rappresentano il quadro dell'avvenimento, con i suoi segni e con le parole dell'annuncio angelico, nella messa del Giorno, l'intenso testo del prologo giovanneo ci conduce nelle profondità del mistero. Siamo posti di fronte ad un evento che ha le sue origini in Dio e che rende possibile un nuovo ed inaudito rapporto tra gli uomini e l'Eterno, un evento che continua a provocare le coscienze di chi viene a contatto con la testimonianza della fede e che, in qualche modo, "obbliga" a prendere posizione, con il cuore e con la vita. Contro ogni riduzione sentimentale e sdolcinata del Natale, a festa della bontà e dei "buoni sentimenti", l'annuncio di Giovanni ripropone il cuore della fede che professa, "nello stupore di tutto il creato", il mistero dell'Incarnazione del Figlio eterno del Padre, quale uomo tra noi e per noi. Il prologo del quarto vangelo è, in effetti, il frutto maturo del percorso di contemplazione e di riflessione, compiuto dall'evangelista, non da solo, ma all'interno del "noi" apostolico" ("noi abbiamo contemplato la sua gloria") e della comunità per la quale è composto l'intero racconto: anche se collocato all'inizio, il prologo, probabilmente, è stato scritto alla fine, e raccoglie ed anticipa i temi e i termini essenziali del vangelo di Giovanni. Descrive una sorta di cammino dell'eterna Parola, del "Logos" divino, che dal mondo di Dio discende nel mondo degli uomini, e qui l'evangelista accosta intenzionalmente questi due "mondi" così distinti, almeno nella comune coscienza religiosa. Parla del Verbo, che è una Parola- persona in Dio stesso, mediante il quale tutto è stato creato, vita e luce degli uomini, già presente e all'opera nell'intera creazione, anche se non riconosciuto, e questa presenza che proviene dal cuore di Dio, nelle battute finali del prologo è identificata con "il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre". Giovanni parla di "gloria" che, in senso biblico, è l'irradiarsi luminoso ed intenso dello splendore e della potenza di Dio, "gloria come del Figlio unigenito, che viene dal Padre", parla di "grazia" e di "verità", che, sempre sullo sfondo dell'AT, sono da intendersi come l'amore gratuito e misericordioso del Padre, e come la sua fedeltà verace e affidabile, che non inganna e non delude. Ma in modo inaudito l'evangelista unisce questi termini divini ad una realtà umana, che coincide con il volto singolare dell'uomo Gesù Cristo: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Nell'originale greco, la parola "carne" ("sarx") evoca, secondo la "mens" semitica, la fragilità e la storicità dell'uomo, essere debole e mortale, ed è impressionante che appunto il Logos, persona divina generata in Dio, si faccia carne, assumendo la condizione limitata degli uomini: un Dio-Figlio, uomo come noi, che come traspare dai vangeli, condivide le nostre esperienze, ha fame, sete, si stanca, prova le nostre emozioni, dalla commozione al pianto, dalla paura alla gioia. L'evangelista allude anche ad un altro aspetto del mistero racchiuso in Cristo, ed è espresso dal secondo verbo, che andrebbe più propriamente tradotto: "e pose la sua tenda in mezzo a noi". L'immagine della tenda ricorda il cammino d'Israele nel deserto, quando Dio gli chiese di edificare una tenda, come dimora della sua presenza in mezzo al suo popolo, e in questo modo Dio stesso si è fatto pellegrino, e ha accompagnato Israele nel lungo e faticoso tempo del deserto. Giovanni, alludendo a questo avvenimento della storia biblica, vuole annunciare che ora c'è una nuova dimora, nella quale è possibile incontrare il Dio vivente e tale dimora è la stessa "carne" assunta dal Figlio di Dio nell'uomo Gesù di Nazaret, anzi, qui in modo ancora più radicale Dio si fa pellegrino con noi uomini, immersi nelle prove della storia, e ci permette, fin da ora, nella vita della fede, d'avere accesso alla sua gloria, d'entrare in una familiarità impensata e inattesa con Lui. Ecco la grazia del Natale: è Dio che si fa carne per aprire ad ogni uomo una possibilità nuova d'esistere come figlio nell'unico Figlio unigenito, "pieno di grazia e di verità".
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