II lettura di domenica 25 settembre - XXVI domenica del Tempo Ordinario
Anno C - I gaudenti
Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 6,11-16
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Dopo aver espresso riprovazione per la condotta dei “falsi maestri”, avidi di ricchezza e impegolati nei vizi, in cui trascinano pure il prossimo, Paolo –avviandosi a conclusione della lettera – esorta Timoteo a fuggire “queste cose”. Esse infatti sono disdicevoli in un “uomo di Dio”, che è tale a duplice titolo: perché battezzato e perché insignito del ministero sacerdotale, anzi responsabile della comunità di Efeso.
Timoteo appartiene a Dio ed è al suo servizio.
Ancora una volta Paolo usa termini agonistici e di battaglia: il cristiano in genere e l'apostolo in particolare debbono ”perseguire” le virtù teologali e morali, con la stessa tensione con cui l'atleta mira alla meta, alla vittoria, al primato; la vita cristiana è sinonimo di ”combattimento” per la difesa e la diffusione della “fede”, un combattimento “buono”, non violento, spirituale, morale e tuttavia arduo. Il cristiano non può attardarsi in rilassamento, mollezza, distensione, pigrizia nella vita terrena, poiché è in fase di “conquista della vita eterna”.
II cristiano pertanto è colui che, consapevolmente, vive la “chiamata” divina alla vita eterna, sancita nel Battesimo e – per l'apostolo, come Timoteo – ribadita nella sacra ordinazione sacerdotale, in occasione della quale, come nel Battesimo, ha emesso la professione di fede, “la bella confessione”.
Non è escluso che Paolo faccia riferimento pure a qualche circostanza di persecuzione, in cui Timoteo “davanti a molti testimoni” abbia rinnovato “la bella confessione” della propria adesione a Cristo. Infatti vien ricordata “la bella confessione sotto Ponzio Pilato” fatta da Gesù: sia essa costituita dall'intera vita di testimonianza del Cristo, sia essa costituita dalle dichiarazioni dinanzi al procuratore romano.
L'esortazione dell’Apostolo si fa accorata – “ti scongiuro” – per chiedere la fedeltà al messaggio evangelico, al deposito della fede – “il comandamento” – senza incrinature, sino al giorno, sconosciuto, della parùsia, cioè della “manifestazione” di Cristo giudice, “beato, unico sovrano, re dei regnanti, signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità”. La fine del combattimento e la sua conclusione gloriosa sono annunciati con estatico entusiasmo: tale da prorompere in espressioni di lode, tanto sintetizzanti quanto sature di signi-ficato, coronate dall'“Amen” della certezza e dell'adesione incondizionata.
E' la vera ricchezza, il vero gaudio di cui il cristiano è chiamato ad essere partecipe e che l'apostolo deve annunciare, con la parola e con la vita.
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