II lettura di domenica 20 settembre - Per me il vivere è Cristo
XXV domenica tempo ordinario (Anno A)
Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.
Filippi, tra Macedonia e Tracia, detta anticamente Krenides (“Sorgenti”) a motivo delle sue acque termali, deve il suo nome a Filippo II, padre di Alessandro Magno, che nel 365 a.C. l’ ha conquistata, fortificata ed ampliata, è stata la prima Chiesa, fondata dall’Apostolo in Europa – qui, dunque, vengono piantate “le radici cristiane” del continente – dopo aver attraversato l’Asia minore durante il suo secondo viaggio missionario (50-51 d.C.). Vi è poi ritornato altre due volte, durante il terzo viaggio (53-58 d.C.)
Con i Filippesi Paolo intrattiene rapporti particolarmente affettuosi: da loro ha accettato già almeno tre volte contributi in denaro per il suo sostentamento (ciò che non ha permesso ad alcun altro) e scrive proprio la lettera cogliendo occasione da un ulteriore aiuto che i Filippesi gli hanno fatto pervenire tramite Epafrodito. A costui, guarito da una malattia che l’ ha sorpreso mentre stava presso Paolo, questi affida la missiva, in cui a gratitudine per la loro generosa “cooperazione alla diffusione del Vangelo” (1,3), a notizie personali e all’auspicio di poter tornare tra loro, aggiunge, ovviamente, insegnamenti preziosi.
Paolo scrive dalla prigionia. Difficile stabilire se da Roma o da Efeso.
L'Apostolo, pur soffrendo nel suo corpo, sa che continuerà a “glorificare” Cristo, con la “franchezza” impavida e sicura di sempre. Anche la “morte”, che dovesse sopraggiungere. Sarà occasione per rendere gloria al Signore.
Perché mediante l'unione a Cristo, non soltanto dell'anima ma pure del “corpo”, misticamente realizzata nel Battesimo e nella Eucaristia, “vita e morte”, gioie e dolori appartengono ormai al Cristo, il quale riceve, dunque, in ogni circostanza “gloria” e lode. Questa è l'ardente “speranza” – certezza attesa – espressa poco prima, che non deluderà Paolo.
“Sia che egli viva sia che egli muoia” 1'Apostolo può “glorificare”, il Signore, perché in ogni caso egli è spiritualmente congiunto a Cristo. Di più: la sua “vita” si identifica ormai con quella di Cristo, quasi un riverbero, tanto che scriverà ai Galati: “Non sono .più io che vivo, ma è Cristo che vive in, me” (Gal. 2, 20). La morte sarà il vero “guadagno”, poiché porterà a perfezione l’identificazione con Cristo, cui Paolo è quotidianamente proteso.
Ecco perché sulla tomba dell’Apostolo, a Roma verrà scolpita proprio questa espressione: “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno”.
Di fronte a queste due “scelte”, 1'Apostolo opterebbe, senza esitazione, per “essere sciolto dal corpo” – come nave che toglie gli ormeggi – per “essere con Cristo” definitivamente. Ciò egli “desidera”, perché, dal punto di vista del suo spirituale interesse, sarebbe “il meglio”.
Ma se pensa alla sua missione di apostolo, sa che “è più necessario” ai suoi fedeli che egli continui a vivere ancora – “a rimanere nella carne”. Anzi è convinto che il Signore gli concederà di “continuare ad essere di aiuto”, onde si realizzi il “il progresso e la gioia della fede” nella comunità.
Più importante delle necessità spirituali dell’Apostolo sono le necessità del regno di Dio e dei suoi membri, di cui gli è stata commessa la responsabilità.
Così i Filippesi avranno una ragione in più per, “vantarsi”. dell'Apostolo; specialmente con la visita – “la venuta” – che egli si propone di compiere.
Infine esorta i Filippesi a “comportarsi come cittadini degni del Vangelo”, seguendo il suo esempio ed essendo, a loro volta, esempio ai concittadini, cioè del modo in cui vive la socialità un seguace del Vangelo.
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