La parola
stampa

II lettura di domenica 13 giugno - Sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere graditi al Signore

XI  Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.
Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

La vita terrena ha senso solo in prospettiva della vita eterna, alla quale, quindi, dev’essere rapportata. Paolo ha illustrato questo concetto paragonando l’esistenza temporale ad una dimora, particolarmente fragile e mobile – la tenda del nomade nel deserto – e ad un vestito. Entrambi sono destinati ad essere mutati: in dimora e in vestito di consistenza eterna.
A tale cambiamento “Dio ha preparato, donando il pegno del suo Spirito”. Forte di questo pegno, di questa garanzia l’uomo terreno è “sempre pieno di fiducia”: cioè avendo la caparra dello Spirito, vige la fiducia della piena realizzazione spirituale dell’uomo eterno.
Per chiarire meglio il concetto, l’Apostolo ricorre ad un altro paragone: l’esistenza terrena sta alla vita eterna come l’esilio alla patria; “l’abitazione nel corpo” è condizione di lontananza dal Signore. E dall’esilio si cammina verso la patria, in condizione di credenti, mentre la patria sarà “visione” di quanto e di Chi è stato oggetto di fede.
La considerazione di ciò, allora, non può che rendere “pieni di fiducia”. La destinazione eterna non è un’incognita tenebrosa, ma una realtà di luce, tale da farla preferire alla situazione terrena: “preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore”. La morte è vista non come momento penoso, ma come ingresso agognato e quindi gioioso nella convivenza con il Signore. Altre volte Paolo esprime il desiderio di morire per “essere con Cristo” (Fil 1,23).
Questa prospettiva escatologica genera un impegno etico, me-diante il quale l’uomo si sforza di essere gradito a Dio, non soltanto al momento del suo definitivo ricongiungimento con lui, ma anche nel cammino versa di Lui; anzi proprio nel periodo di “esilio nel corpo”, perché é in questa fase che si possono compiere le opere di bene o di male.
Infatti, al termine dell’esilio nel corpo, ciascuno, prima di entrare nella patria, dovrà “comparire davanti al tribunale di Cristo” per documentare di essere a lui gradito mediante “le opere compiute finché era nel corpo. L’immagine del tribunale – mutuata dall’apocalitica giudaica – in cui si riceve ricompensa per il bene o punizione per il male compiuti, sta a sottolineare il valore definitivo del momento escatologico, senza possibilità di appello, giacché si tratta di tribunale divino, infallibile. D’altra parte il desiderio sincero di “essere graditi” a Dio, non può procrastinarsi sino a quel momento, ma anima, permea tutto il “cammino nella fede”.

Fonte: Il Cittadino
II lettura di domenica 13 giugno - Sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere graditi al Signore
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento