II lettura di domenica 12 luglio - L'ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio
XV domenica tempo ordinario (Anno A)
Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità, non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta, nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
Paolo ha già detto che le tribolazioni, fisiche ma soprattutto spirituali e morali, della vita terrena costituiscono premessa della glorificazione futura, eterna.
Ora aggiunge che “le sofferenze del tempo presente non reggono il confronto con la gloria che dovrà manifestarsi” nella vita eterna.
Analoga la situazione della “intera creazione”, che è stata coinvolta, non per sua autodeterminazione – “non l’ha voluto lei” – nella sofferenza della disarmonia causata dal peccato dei progenitori, ribellione al progetto divino: è stata svuotata – “sottomessa alla caducità” – della sua stabilità originale, del suo destino genuino, cioè d’essere signoreggiata, interpretata, valorizzata, senza errori, dall’uomo.
Vittima anch’essa del peccato dell’uomo, perché a lui destinata, ne subisce le conseguenze.
Ma solo temporaneamente: anch’essa “anela, in ansiosa attesa” che l’umanità redenta, passi completamente, dalla schiavitù del peccato e della caducità, alla “libertà della gloria dei figli di Dio”, alla figliolanza divina, nella comunione gloriosa con il Padre, nell’eternità.
Già, però, la grazia della salvezza, della redenzione ha posto l’uomo e il creato sul cammino della gloria. Di qui la “speranza”, l’attesa, con certezza, della liberazione definitiva dalla “schiavitù della corruzione”, materiale e morale. Ovviamente l’uomo, poiché ne ha la capacità, deve collaborare, dare il suo apporto alla preparazione di questa liberazione cosmica. Non può disinteressarsi del creato, ma amarlo in quanto dono di Dio.
Il suo lavoro mediante il quale – per mandato del Creatore – accresce la sua signoria sul creato, non soltanto espiativo del peccato, ma ambito di spiritualizzazione, nell’impiego delle facoltà e doti donategli da Dio.
Il creato e l’uomo, il quale è già stato redento – “possiede le primizie dello Spirito” – vivono la stessa esperienza della donna che soffre per le doglie del parto, nell’attesa di dare alla luce un nuova creatura: le doglie sono la premessa indispensabile della gioia successiva. Le pene terrene sono dunque premessa e, in qualche modo, anche misura, della gioia piena ed eterna, che si realizzerà con la risurrezione corporale.
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