La parola
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II lettura di domenica 15 novembre - Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro

XXXIII domenica tempo ordinario (Anno A)

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C'è pace e sicurezza!», allora d'improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

L'Apostolo, sollecitato da quanto Timoteo, di ritorno da Tessalonica, ha riferito, sta rassicurando i cristiani circa la sorte dei loro familiari defunti.
Precisa subito che la curiosità non può essere soddisfatta: egli stesso si trova nell'impossibilità di dire quale sarà il tempo e l'ora del fatidico e decisivo avvenimento. E fa appello alle conoscenze che i Tessalonicesi già hanno sull'argomento: egli – possiamo supporre – ne ha già trattato nella predicazione riferendo gli insegnamenti di Gesù (cfr il discorso escatologico in Mt 24), il quale ha dichiarato esplicitamente che il momento della “parusia” è segreto di Dio. Ed è proprio al parole di Gesù che Paolo allude dicendo “ben sapete che come un ladro di notte così verrà il giorno del Signore” (cfr. Mt 24,43).
L'ora finale scoccherà imprevista ed improvvisa. Cosicché sarà l'inizio della “rovina” per quanti con presunzione si sono accomodati nella propria “pace e sicurezza” terrestre. L'immagine del donna in doglie sottolinea due aspetti: il giudizio è inevitabile (come le doglie per la puerpera) e sarà solo tormento per quanti non vi si sono preparati, come invece è indispensabile fare in attesa di una nuova vita.
Ed ecco la risposta e la preoccupazione dell'Apostolo: occorre stare sempre preparati (cfr Mt 24,44) vivendo non nelle tenebre (espressione cara a Paolo, per designare l'immoralità), ma nella luce, nella virtù.
Ciò è d'altra parte questione di coerenza: il credente è “figlio della luce”, appartiene alla fede e alla grazia generate da Cristo; pertanto non può lasciarsi catturare nuovamente dalle tenebre dell'ignoranza, non può addormentarsi nelle tenebre del peccato, ma deve restar sempre desto e non cedere alle ubriacature (“siamo sobri”) che facilmente avvengono appunto nella notte. Dunque di fronte all'incertezza del momento della “parusia” non c'è che un atteggiamento: la vigilanza e, corrispettivamente, la rinuncia ad ogni tipo di torpore, di apatia, di indifferenza, di ubriacatura. Tutto ciò è nel comportamento degli “altri”, i non credenti.

Fonte: Il Cittadino
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