I lettura di domenica 5 febbraio - V domenica del Tempo Ordinario
Anno A - Come città sul monte
Dal libro del profeta Isaìa
Is 58, 7-10
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».
Il Profeta, a nome di Dio, rimprovera agli Israeliti un comportamento religioso improntato al solo formalismo rituale, este-riore, in cambio del quale essi esigono benevolenza divina. Sino a protestare: “Perché digiunammo e tu non lo vedesti, ci mortificammo e tu non lo sai?” (58, 3).
I giorni di digiuno dovrebbero essere momenti di stasi dal lavoro e dalle preoccupazioni materiali, per elevarsi a Dio e vivere più intensamente i rapporti con il prossimo. Invece i contemporanei di Isaia si limitano al digiuno fisico, continuando a curare i loro interessi terreni. Di qui la risposta rimproverante di Dio: “Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, esigete lavoro da tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate tra litigi, alterchi ed ingiusti colpi di pugni. Non digiunate più come fate oggi” (58, 3b-4).
L'astinenza fisica dal cibo ha valore spirituale soltanto se è espressione di atteggiamento interiore. L’atto rituale non solo è insufficiente, ma costituisce ipocrisia, se non corrisponde alle disposizioni del cuore. Se queste sono autentiche, si traducono in atti di giustizia e di amore nei confronti del prossimo: “Spezza il tuo pane con l'affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è nudo senza distogliere gli occhi dalla tua gente”.
La religiosità è veramente luminosa nell'uomo (“brillerà tua luce tra le tenebre, la tua oscurità sarà meriggio”) se non si limita al rito, ma “se toglie di mezzo l'oppressione, il puntare dito (accusatore, severo) e il parlare empio, se offre il pane all'affamato, se sazia chi è digiuno”.
Solo così gli atti di religione esteriore sono autentici, in quanto traduzione e segno di vita interiore guidata da Dio. Soltanto così l'uomo può attendersi la benevolenza divina che, come luce d'aurora, illumina i giorni, come uscenti dalle tenebre; benevolenza divina che rimargina presto le ferite, che conforta nella sofferenza, nella prova.
Se l'uomo pone davanti a sé la tensione verso la santità (“la giustizia”) Dio si renderà immancabilmente e tangibilmente presente (“la sua gloria ti seguirà”).
E non potrà non ascoltare le invocazioni. Anzi risponderà c immediatezza: “Eccomi”.
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