I lettura di domenica 3 settembre
Anno A - XXII domenica del Tempo Ordinario
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.
Geremia (“colui che Jahvè innalza”) è stato destinato “sin dal seno materno” (Gr 1,5) alla missione profetica, che gli viene affidata quando è appena un giovinetto.
Missione difficile di annuncio agli Israeliti, del regno meridionale o di Giuda, di castighi catastrofici.
Missione penosa per un uomo di temperamento mite, timido, ipersensibile, affettuoso, qual è Geremia.
All’acme della tribolazione, non può far a meno di lamentarsi con Dio: “Mi hai sedotto”. Dio lo ha attratto irresistibilmente a se, ma senza inganno: chiamandolo ad essere suo profeta, gli ha prospettato, con chiarezza, una missione ardua. Non lo ha costretto. Geremia è consapevole di aver accettato la missione, liberamente: “Mi sono lasciato sedurre “.
Nel momento del massimo sconforto si sfoga con Dio, il quale ha “fatto forza” alla sua fragilità, “ha prevalso” sulla sua trepidazione. Ed ora è disprezzato da tutti, a causa di quanto deve annunciare a nome di Dio. Egli, così mite, è costretto a “gridare” annunci di“violenza” e di “oppressione” nemica sui i suoi conterranei, a causa delle loro continue infedeltà a Dio.
Anziché avere effetti positivi sui destinatari, la parola di Dio che egli deve annunciare è diventata, per lui, “motivo di obbrobrio e di scherno”. Non saltuariamente, ma sempre, “ogni giorno”.
È il suo tormento quotidiano: constatare che la parola di Dio, per la salvezza del suo popolo non viene ascoltata, ma messa in discussione, rifiutata, persino irrisa.
Rammaricato di essersi lasciato “sedurre” da Dio, il profeta confessa che avrebbe desiderato e quasi deciso di dimenticarlo, di “non pensare più a lui”, per poter liberarsi dalla missione ricevuta: “non parlerò più in suo nome”.
Tentativo vano, a causa dell’istanza interiore, cocente come “fuoco ardente”, incontenibile, che non riesce a spegnere, nonostante ogni “sforzo”.
Dirà il profeta Amos: “Se Dio ha parlato chi potrà non profetare ?” (Am 3,8).
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento