XVI domenica, Mc 6, 30-34
Erano come pecore senza pastore
Ogni vero discepolato comincia e finisce in Gesù. E' il Maestro che ha mandato i suoi a due a due, a preparargli la strada, ad aprire i cuori delle persone alla luce e alla verità , a guarire i loro mali e le loro incredulità . Essendo stati inviati, i discepoli non si attribuiscono la gloria di ciò che hanno fatto. Hanno avuto parole persuasive, che sono arrivate a tanti cuori, sono stati in grado di portare comprensione, perdono, guarigione interiore, donando la forza della conversione a tante vite disordinate a causa del peccato, che incatena ad una vita grigia e arrabbiata.
Ogni vero discepolato comincia e finisce in Gesù. E' il Maestro che ha mandato i suoi a due a due, a preparargli la strada, ad aprire i cuori delle persone alla luce e alla verità , a guarire i loro mali e le loro incredulità . Essendo stati inviati, i discepoli non si attribuiscono la gloria di ciò che hanno fatto. Hanno avuto parole persuasive, che sono arrivate a tanti cuori, sono stati in grado di portare comprensione, perdono, guarigione interiore, donando la forza della conversione a tante vite disordinate a causa del peccato, che incatena ad una vita grigia e arrabbiata. Ma essi sanno che tutto è da attribuire alla forza e all'amore di Colui che li ha inviati. Se hanno potuto fare qualcosa è grazie a Lui, e a Lui ritornano. Radunati anzitutto per 'stare con lui' (Mc 3,14), gli apostoli tornano a lui e riferiscono tutto ciò che hanno fatto, tutto ciò che hanno incontrato, conversioni, affanni degli uomini, preoccupazioni, ostinati rifiuti. Gesù li raduna nuovamente e propone loro un tempo di riposo, in disparte. Strano, spesso noi non associamo il riposo con l'essere 'in disparte'. La solitudine richiama una certa nostalgia e tristezza in alcuni, e perciò quando si parla di riposo il pensiero va' immediatamente a quei luoghi di aggregazione dove, esattamente come in città , potremo essere nuovamente in massa, tanti, tutti insieme, il più vicino possibile, allineati su di una spiaggia di sabbia a perdita d'occhio, o su di un'autostrada incolonnati nelle nostre scatolette ad aria condizionata, in fila per ottenere il biglietto di uno spettacolo di massa estivo, migliaia ammassati sul ponte di una nave, o pigiati dentro un agriturismo immerso nel verde. E' vero che spesso la situazione esterna non corrisponde a quella interna, e si può essere soli anche in mezzo alla folla e viceversa non essere isolati ed entrare in sintonia con tutto il creato quando si è in ascesa montana solitaria. Resta il fatto che Gesù alterna nella sua vita, e dunque ci propone lo stesso, periodi in cui è immerso tra la folla a periodi in cui è 'in disparte', solo con il Padre che lo ascolta, lo incoraggia, gli suggerisce le prossime mosse. Il vero riposo non è fare di tutto e di più, non andare mai a letto tanto non ci si deve alzare al mattino, riempire ogni istante della giornata di tutte quelle cose che non ho mai tempo di fare⦠non credo. O meglio, anche questo, ma ricordando altresì che tra le cose che chiedono spazio e attenzione nella nostra vita c'è sicuramente la vita interiore, lo spazio dell'ascolto di Gesù Maestro, lo spazio della lettura e dello studio di ciò che Egli ha detto e fatto, raccolto nelle Scritture, il tempo dello stare con lui senza far niente (preghiera meditativa e contemplativa). E per ascoltare qualcuno e capire ciò che dice, ci vuole silenzio, accoglienza, attenzione, ci vuole un luogo dove si possa dialogare e i decibel dei rumori di fondo lo consentano. Riposo è anche la gioia dello stare insieme, uniti come fratelli, intorno a Colui che è la ragione della nostra vita e della nostra gioia. Gesù prende tutto il suo gruppo di amici in disparte. Il riposo è unito all'avere il tempo di mangiare. 'Era tanta la gente che non avevano nemmeno il tempo di mangiare'. Anche se questa traduzione non soddisfa tutti, resta vero che questo brano evangelico è l'inizio di quella che viene chiamata la 'sezione dei pani', in quanto nello spazio di tre capitoli Gesù moltiplicherà i pani per due volte. E' singolare dunque che il recarsi in disparte e il riposo siano messi in relazione con l'avere il tempo di mangiare: non sarà una allusione al salmo 23, 'Signore, sei tu il mio pastor'? Il pastore è colui che conduce alle 'acque tranquille', acque di riposo nel testo originale. Egli è colui che conduce 'ai quieti pascoli', dove verdeggia l'erba, colui che imbandisce una mensa anche davanti agli occhi dei nemici. Imbandire una mensa è più che sfamare. Dio si prende cura del popolo nel deserto, entra nella fame e nella sete profonda del popolo, fame e sete di pane, certo, di ciò che di essenziale abbiamo bisogno nella vita. Ma fame e sete anche della Parola, di parole, desiderio profondo di relazioni vere, di comunicazione a livello profondo. Di questo abbiamo bisogno, spesso senza rendercene conto. Ecco perché Gesù vedendo le folle, le vede come pecore 'senza pastore'. Non c'è nessuno che si prenda cura di loro. Le folle sono sempre vittime, manovrate: da chi vuole che spendano i loro soldi, da chi ha fame di successo e di applausi, da chi ha fame di voti e cerca persone che si inchinino davanti al potente di turno, sperando in qualche favore. Ma delle folle, della gente, dei loro volti e delle loro storie personali non importa niente ai pastori di questo mondo. I pastori-re di quel tempo, come i presidenti o premier di oggi, salvo eccezioni, che fortunatamente esistevano ed esistono, non sentono nei confronti delle folle sbandate e bisognose di guida ciò che prova Gesù. Marco ci dice che Egli 'venne preso da compassione', gli si strinse il cuore, diremmo noi. Il testo originale greco parla di un movimento viscerale, qualcosa di forte che afferra Gesù per la gola, un groppo allo stomaco. Gesù viene toccato dal nostro bisogno, si commuove, freme dentro di sé. Non è indifferente, non pensa come sfruttare la situazione, e nemmeno come sbrigarsela eludendo ciò che vede nella gente, magari come avremmo fatto noi, con frasi del tipo 'e io, cosa ci posso fare'? Senza mettere in piedi un piano quinquennale, senza delibere o frasi demagogiche vuote e false, Gesù dona loro immediatamente quello che ha, se stesso, le sue parole. Stabilisce una relazione con la gente, parla loro di un Dio provvidente, che non ha mai abbandonato i suoi nella loro fame e sete, parla loro di amore, si dimostra tenero e sollecito. Com-patisce. Gesù non ha sfamato e guarito tutte le persone che vivevano in Israele al suo tempo. Ma non si è mai sottratto a ciò che personalmente poteva fare. Possiamo imitarlo? Demandiamo anche noi a qualche altro pastore che è sempre altrove, o distratto, o cinicamente indifferente? San Pietro diceva ai suoi cristiani 'siate sempre pronti a rendere ragione a tutti della speranza che vi abita'. Parlare agli altri, amare e sentire i bisogni di coloro che non conoscono Gesù, e muoiono di fame e sete, di tristezza e di solitudine, si fidano di pastori che li sfruttano.Sarebbe già tanto, forse tutto ciò che possiamo fare.
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