29ª domenica Tempo Ordinario (anno C), Lc 18, 1-8
Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? ».
C'è un filo sottile che lega il vangelo di questa domenica, ai passi ascoltati nelle due domeniche precedenti, ed è l'intreccio tra fede e preghiera: il richiamo all'autenticità di una fede radicale in Dio, capace di operare miracoli, nasce come risposta di Gesù alla domanda degli apostoli: "Accresci in noi la fede!" (cfr. Lc 17,5- 6), mentre la guarigione dei dieci lebbrosi si compie per la fiducia semplice nella parola di Cristo e si conclude con le parole del maestro, rivolte all'unico lebbroso, ritornato da Gesù: "La tua fede ti ha salvato" (cfr. Lc 17,11-19). Il legame tra fede e preghiera è essenziale per la verità di un'esistenza credente, nel senso che la preghiera è espressione primaria di una fede viva, e allo stesso tempo, la fede si alimenta e matura attraverso la preghiera. Chi non crede, chi non riconosce la presenza del Mistero, del Dio vivente, non prega, resta come muto di fronte agli eventi della vita e della storia; ma chi non prega, chi non vive il gesto dell'umile e appassionata domanda a Dio, lentamente lascia morire la sua fede: è come una fiamma che, senza ossigeno, si spegne, è come se venisse a mancare ad un organismo l'alimento essenziale. La fede è la sorgente della preghiera, ma la preghiera è il respiro della fede, l'una non può sussistere senza l'altra, ed insieme danno forma all'esistenza dell'uomo. Luca nel suo vangelo, in molti modi, vuole riproporre a noi questa evidenza semplice e vuole indicarci le vie per custodire e far crescere la vita della preghiera, perché ne va della fecondità della nostra fede. Così la breve parabola del giudice e della vedova mostra, in maniera paradossale, il carattere drammatico della preghiera che impegna la libertà del credente, e la necessità di una petizione costante ed insistente, che non si arrende di fronte all'apparente silenzio di Dio: Luca parla della "necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai" e con queste parole delinea una dimensione della vita, che può attraversare il tempo e i giorni della storia, una sorta di preghiera diffusa, che si esprime nell'essere mendicanti di fronte a Dio. La parabola rappresenta l'atto del pregare come un grido che chiede giustizia, che invoca il bene, un grido che nasce da una situazione di bisogno, da un essere che è bisogno: nel linguaggio biblico la vedova incarnava un soggetto umano fragile, indifeso, esposto alle violenze e alle angherie, una creatura che, proprio nella sua indigenza, era oggetto di cura, di predilezione e di protezione da parte di Dio. I tratti del racconto parabolico sono volutamente originali, possono creare sconcerto e fastidio e sembra impossibile identificare Dio con la figura del giudice disonesto. In effetti non siamo di fronte ad un'allegoria dove ogni elemento va decifrato e tradotto con un termine corrispondente di spiegazione, ma siamo di fronte ad una parabola, dove ciò che conta è il senso complessivo della narrazione. Qui l'evangelista si muove secondo un ragionamento "a fortiori": se un giudice senza scrupoli, ascolta la supplica di una vedova, pur di non essere disturbato, quanto più Dio, giudice giusto e padre amoroso, saprà ascoltare la voce degli eletti, "che gridano giorno e notte verso di lui". La preghiera fiduciosa, perseverante e, talvolta, audace dei santi nasce da una tale certezza, che Dio non può chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze dei suoi figli, e perciò "farà loro giustizia prontamente": certo la prontezza di Dio non corrisponde alle nostre misure e alle nostre pretese, e tuttavia, là dove c'è un cuore che grida, là dove c'è una fede piena nelle infinite possibilità del Signore, lì Dio entra e compie l'impossibile. Ma una tale semplicità nel pregare ed una fiducia così illimitata sono impossibili senza la grazia della fede, senza la solidità di una relazione con Dio, con Cristo che introduce nella vita una nota di sicurezza e di letizia. L'interrogativo finale di Gesù, con il suo tono inquietante, rimanda al fatto che la vita di fede non è una realtà scontata e meccanica, ma cresce dal rinnovato incontro dello Spirito che illumina e muove il cuore, con la libertà e la disponibilità a lasciarsi conquistare da una Presenza vera, bella e buona: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà troverà la fede sulla terra?"; un interrogativo che continua a sfidare e ad interpellare gli uomini di ogni tempo.
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