6a domenica del Tempo Ordinario - anno C, Luca c 6,17.20-26
Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
Il vangelo di questa domenica propone a noi la pagina delle beatitudini, nella particolare versione di Luca: noi, probabilmente, abbiamo più familiari le otto beatitudini di Matteo, che aprono il grande discorso del monte (Mt 5-7); Luca, pone la scena in un luogo pianeggiante, al centro Gesù, circondato dai Dodici e dalle folle che lo ascoltano, incuriosite dai suoi prodigi e dalle sue parole.
Il vangelo di questa domenica propone a noi la pagina delle beatitudini, nella particolare versione di Luca: noi, probabilmente, abbiamo più familiari le otto beatitudini di Matteo, che aprono il grande discorso del monte (Mt 5-7); Luca, pone la scena in un luogo pianeggiante, al centro Gesù, circondato dai Dodici e dalle folle che lo ascoltano, incuriosite dai suoi prodigi e dalle sue parole.Tutto nasce da Lui, dalla sua persona che desta un'attrattiva, che suscita uno stupore: anche le sue parole, anche le beatitudini che ora annuncia, si fanno trasparenti se guardiamo a Lui. L'evangelista Luca non si limita a dare una collocazione differente a questo discorso, ma in una fedeltà viva e creativa alla parola di Gesù, dona una forma nuova a quest'annuncio: quattro beatitudini, rivolte in forma diretta ai destinatari, che sono gli stessi discepoli: 'Beati voi poveri, beati voi che ora avete fame, beati voi che ora piangete, beati voi quando gli uomini vi odieranno'; seguite da quattro 'guai', rivolti 'a voi ricchi, a voi che ora siete sazi, a voi che ora ridete, a quando tutti gli uomini diranno bene di voi'. Certo, secondo una caratteristica propria di Luca, sono in vista situazioni di vita concrete, che hanno anche una dimensione sociale: si tratta proprio di uomini miseri, bisognosi di tutto (è il senso del termine greco usato nel testo), che hanno fame, che piangono, che sono oggetto di odio e persecuzione; così come, al contrario, la minaccia incombe sui ricchi, sui sazi di beni, su coloro che ridono e se la godono, sugli uomini rinomati e stimati da tutti.Ma che significato hanno queste espressioni, così provocanti e paradossali? Noi uomini non siamo fatti per la felicità , non siamo mossi da uno struggente desiderio di pienezza e di vita? Chi di noi vuole, per sé e per i nostri fratelli uomini un'esistenza povera tanto da provare la fame? Chi ricerca il pianto o la persecuzione? Occorre lasciarci scuotere e inquietare da queste parole: che strano maestro, che capovolgimento di valori, di giudizi, di valutazioni! In realtà , tutto cambia perché c'è Cristo e con Lui si fa presente il Regno, vale a dire, la presenza viva di Dio che è il vero signore della vita e della storia: regno di Dio, questa parola per noi così lontana ed estranea, significa proprio ciò che il cuore attende, una pienezza di vita, di pace, una presenza che dà ordine e bellezza alla nostra umanità , così fragile e così ferita. E questo regno è offerto proprio a chi sperimenta la sua povertà , anche come condizioni materiali di vita, a chi sente fame, a chi conosce il pianto e il dolore, a chi ha scoperto in Gesù, il figlio dell'uomo, il bene prezioso per il quale vale la pena essere anche derisi o perseguitati. Cristo proclama beati coloro che fanno esperienza drammatica, quasi carnale, del loro limite, del loro bisogno, perché sono senza difese davanti a Dio, più facilmente si riconoscono poveri davanti a Lui, si affidano a Lui, per loro è quel Regno che inizia nel presente, come alba di letizia, e si compirà nel futuro definitivo, nel giorno senza fine dell'eterno, nella grande ricompensa, custodita nei cieli.Questo annuncio delle beatitudini accade ora nella nostra vita: quando siamo leali e semplici di cuore, quando tocchiamo con mano la nostra povertà , che ha tanti volti, ci accorgiamo di ciò che davvero conta, dell'essenziale, siamo ricondotti al Signore, bene che non delude; viceversa, quando siamo sazi, quando ci sentiamo a posto, quando non avvertiamo più la ferita della nostra umanità , la fame di vita che è in noi, allora ci sistemiamo, poggiamo la nostra speranza su noi stessi, su quello che facciamo, su quello che abbiamo (lavoro, famiglia, affetti, soldi), Dio non è più il Signore, non ci riconosciamo più suoi e, facilmente, non sappiamo più guardare al bisogno dell'altro, ci chiudiamo nel nostro io. Di là dalle apparenze, la consolazione e la sazietà , che inseguiamo, diventano un inizio di morte, una vita senza respiro: ecco perché Cristo ci avverte con i suoi 'guai a voi', per una passione al nostro vero destino.
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