Ascensione del Signore (anno A), Matteo 28,16-20
A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Il mistero dell'Ascensione è parte essenziale della Pasqua di Cristo: Gesù, infatti, risorgendo, non è tornato alla vita terrena di prima, ma è passato, in modo radicale e totale, dalla morte alla vita piena di Dio, e la sua umanità risorta partecipa ormai in pienezza della gloria del Padre.
Nel racconto degli Atti (At 1,9-11), Luca esprime la nuova condizione del Signore attraverso la scena della sua 'ascensione' caratterizzata dall'essere elevato in alto (il cielo come simbolo della dimora divina) e dall'essere avvolto da una nube (segno della gloria di Dio), che lo sottrae alla vista degli Undici. Nella finale del suo vangelo, Matteo manifesta la stessa realtà in un'altra maniera, rievocando l'apparizione del Risorto sul monte in Galilea.
Anche il monte, nel linguaggio biblico, rimanda al luogo della manifestazione di Dio, ma sono soprattutto le parole di Cristo che annunciano la realtà della sua signoria totale.
C'è un chiaro contrasto tra la figura del Signore, che ha il volto del "Pantocrator", come nei grandi mosaici d'epoca bizantina, e la condizione dei discepoli: essi, infatti, sono undici, e il numero richiama la defezione di "uno dei Dodici", di Giuda che ha tradito il maestro e ha trovato la morte.
Dunque non è più il gruppo completo, voluto da Gesù, e che nel suo numero evocava la totalità delle dodici tribù d'Israele, ma sono undici uomini, che nell'ora della passione, hanno abbandonato il loro maestro e uno di loro, Pietro, lo ha rinnegato. Inoltre, l'evangelista nota in loro una fede ancora imperfetta e incerta: "Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono".
Sono uomini "di poca fede" che nel loro cuore conoscono la debolezza del dubbio, eppure Gesù si avvicina a loro, non li respinge e rivela la sua nuova condizione di vita: "A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra".
Tutta l'autorità e la potenza del Padre sono ora consegnate a Cristo, che nella sua risurrezione, è nel cuore di Dio ed è costituito Signore dell'intero creato, "centro del cosmo e della storia" (S. Giovanni Paolo II).
Questo è il mistero che professiamo dicendo "Ascese al cielo, siede alla destra del Padre", e con un duplice simbolo spaziale, il salire al cielo e il sedere alla destra, luogo di onore, come il principe ereditario che sedeva alla destra del re, noi cerchiamo di esprimere la profondità ineffabile della Pasqua di Cristo e riconosciamo nella sua ascensione, l'inizio di una presenza che non conosce più i limiti del tempo e dello spazio: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
Il Signore che ora vive nella gloria è presente, come "il Dio con noi", nel cammino e nella vita dei suoi discepoli, da primi apostoli fino ai credenti di oggi e di domani, ed è una presenza attiva, che si comunica, attraverso la testimonianza della Chiesa, edificata sulla fede degli apostoli, nel dono dei segni sacramentali, a partire dal battesimo, e nell'insegnamento fedele delle parole di Cristo, per "osservare", custodire e vivere tutto ciò che lui ha comandato e annunciato. Così Matteo chiude il suo racconto, con lo sguardo rivolto al passato, vissuto dai discepoli, e attestato nella raccolta delle parole e dei gesti di Gesù, e con la prospettiva futura di un'esperienza che prosegue, nella vita della Chiesa, dove Cristo resta presente e vivo.
Dunque, c'è una continuità tra il cammino dei primi e la nostra esistenza di credenti nel Signore Gesù, ma, nello stesso tempo, c'è una svolta, che è contenuta nel mistero dell'Ascensione: il Risorto, infatti, si è mostrato agli apostoli "vivo, dopo la sua passione, con molte prove apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio", in un tempo definito e compiuto, "quaranta giorni"; ora, sottratto al nostro sguardo, vive per sempre nella gloria del Padre ed è accessibile agli uomini, solo attraverso segni e parole, trasmessi e attuati nella comunità dei suoi discepoli.
Testimoni, segni e parole che chiedono d'essere accolti nella libertà della fede, trapassando l'apparenza e realizzando un contatto con il Risorto, oltre le misure dei nostri sensi e della nostra immaginazione: egli è il Signore, che non può essere confinato nelle coordinate della nostra storia, e tuttavia, non è un fantasma o un sogno, è presenza più che mai reale e all'opera nel tempo, nel cammino della Chiesa e nella storia di ogni uomo.
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