Il linguaggio degli adolescenti
Una terminolgia che si è impoverita e che merita di essere rivalutata
Ogni generazione ha un suo linguaggio prevalente e molte delle incomprensioni tra giovani e adulti derivano proprio dalle reciproche specificità espressive.
Non si tratta solo di tratteggi semantici, di approccio narrativo, di forma.
Ci sono anche i contenuti, le ricorrenti analogie del dire e del fare che riflettono la corrispondenza con le esperienze di vita e i modi di pensiero e che sono lo specchio dei tempi e dei luoghi dell’esistenza.
Gli stili espositivi replicano gli stili di vita.
I bambini, i ragazzi di oggi si esprimono con più facile disinvoltura, sono più svincolati dai codici espressivi consegnati dalla famiglia e dalla scuola, a volte usano una terminologia ripetitiva e generalista, quasi disarmante.
Tra di loro però si capiscono e questo rafforza il teorema del gap generazionale.
E poi c’è tutto il mondo delle nuove tecnologie, dei telefonini, del rap e della musica metal: un mondo di marchingegni e diavolerie che ha affinato certe competenze e certe abilità a discapito di altre.
Non dobbiamo però vedere tutto in termini negativi, anche il nostro punto di vista è in fondo relativo.
Mi sembra che il linguaggio dei giovani meriti più benevolenza critica e più indulgenza emotiva di quanto gli venga solitamente riservato.
Molta parte di quelle debolezze espressive che riconosciamo in modalità comunicative spicce e leggere è anche da attribuire alla lunga deriva di “deregulation” che il mondo degli adulti ha applicato a se stesso.
Abbiamo accarezzato la lusinga della società complessa per affrancarci da punti di riferimento esistenziali che comportassero regole e obbedienze, puntando sulla facilitazione come chiave di approccio e di lettura alle cose della vita, abbiamo cavalcato la teoria del ‘più pratica e meno grammatica’ e adesso non ci resta che ‘goderci’ la ricaduta di queste scelte.
Non possiamo però valutare i ragazzi solo in base al parametro dell’impoverimento linguistico, non possiamo generalizzare.
Trovo in molti giovani una maturità e una consapevolezza dei valori addirittura superiore a quella di certi loro genitori disimpegnati e bamboccioni.
Anche se abbiamo codici espressivi diversi, se usiamo termini non collimanti, con questi ragazzi ci si può intendere: ci vuole disponibilità all’ascolto, ci si può capire.
I loro intercalari non sono il senso compiuto del messaggio che a volte, parlando, rivela consapevolezze imprevedibili anche se ci colpisce di più il linguaggio colorito, effervescente, irrituale, spesso banale, la terminologia sempre nuova e aggiornata, a volte persino indecifrabile, le cadenze, la ripetitività lessicale.
Se non si parla con loro, se non si dialoga non si migliora il senso e il contenuto della comunicazione e non si offrono opportunità di arricchimento espressivo.
Ricordo una ragazzina ascoltata in tribunale che raccontando i suoi vissuti e la caduta nel mondo della droga, rimproverava alla famiglia e alla scuola di non averle mai impartito una buona educazione sentimentale. Penso sia questa la vera carenza formativa, oggi.
Dovrebbero girare più libri e vocabolari nelle nostre scuole, per abituare i ragazzi ad utilizzare gli idiomi più pertinenti, per non disperdere il patrimonio linguistico della nostra cultura.
Come ha sollecitato l’attore Pierfrancesco Favino, in occasione del recente conferimento dei David di Donatello, le scuole dovrebbero aprire le porte al teatro, alla musica e alle arti figurative.
Il mondo ‘esterno e parallelo’ dei social ha soppiantato i canali tradizionali di trasmissione della cultura e le stesse relazioni umane. Il web resta pur sempre un universo sconosciuto denso di incognite, con accessi facilitati e ritorni difficili, ci sono pochi semafori lungo il cammino e molte occasioni di perdersi in un labirinto senza regole e privo di codici etici di comportamento, non ci sono precettori di buone maniere ma imbonitori e influencer che offrono modelli ispirati all’apparire piuttosto che all’essere. Tutto questo sollecita pulsioni e comportamenti divergenti, che spesso utilizzano linguaggi ed esempi violenti o ammantati da codici semantici e simbolici poco edificanti.
Ma il gergo disimpegnato dei nostri figli non può essere di impedimento al dialogo che tocca pur sempre a noi attivare e mantenere desto.
Ad esempio guardando con simpatia, curiosità e rispetto il mondo dei loro sentimenti che trasuda ricchezza interiore e si esprime nei modi spumeggianti di un linguaggio frettolosamente giudicato povero e banale, a volte irriverente.
“Nel senso… cioè”, per usare un’espressione ricorrente tra gli adolescenti, che sono gli adulti che spesso danno il cattivo esempio.
Come ci ha insegnato Seneca: “Longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla”: lunga è la strada che passa per gli insegnamenti, breve ed efficace quella attraverso gli esempi (Seneca-Epistulae ad Lucilium -VI-5).
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