Quale speranza per i giovani?
Dal Papa l'invito a prendersi cura dei giovani, dedicando loro tempo e spazio
Abbiamo appena celebrato la Giornata Mondiale della Gioventù e ci stiamo avviando a preparare il Giubileo dei giovani che avverrà in due tappe; dal 25 al 27 aprile il Giubileo degli adolescenti dai 12 ai 17 anni e dal 28 luglio al 3 agosto il Giubileo dei giovani 18-30 anni.
Il Papa nella Bolla di indizione del Giubileo indica i Giovani nell’elenco delle tante situazioni odierne dove portare speranza.
Ecco cosa dice nello specifico al punto 12:
Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani. Essi, purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni. Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire. È bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale. Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia. L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi. Per questo il Giubileo sia nella Chiesa occasione di slancio nei loro confronti: con una rinnovata passione prendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!
Il Papa chiede dunque di dare segni di speranza ai giovani; naturalmente come sempre il Papa sta parlando di tutti i giovani, non solo quelli che partecipano alle Giornate Mondiali della Gioventù o che frequentano i nostri gruppi, anche quelli naturalmente, ma si rivolge a tutti i giovani. Chiede di riconoscere i tanti segni di speranza che gli stessi giovani offrono: ad esempio cita il rimboccarsi le maniche nelle difficoltà e il mondo del volontariato che si impegna gratuitamente; anche a Genova noi non dobbiamo tralasciare i tanti segni in questo senso che i giovani e i ragazzi ci offrono.
Sono davvero tanti i campi in cui ragazzi e giovani operano nel mondo del volontariato: educativo, sportivo, ecologico, di impegno civile. Spesso nell’indifferenza degli adulti per non dire dell’ironia da parte degli adulti, e talvolta della stessa chiesa. La prima indicazione che offre Papa Francesco è quella di saper riconoscere laddove ci sono dei segni positivi nei ragazzi. E a Genova davvero non possiamo lamentarci: specialmente dal punto di vista delle solidarietà la città continua ad avere una forte tradizione. Diventa semmai difficile poi aiutare a dare un senso e una continuità a tale entusiasmo, senza deludere i tanti che si avvicinano per mettersi in gioco nel fare il bene.
Poi il Papa passa ad analizzare le tristezze: la mancanza di futuro e l’incapacità di sognare, la non connessione tra la formazione e la vita quotidiana, leggi tra scuola e lavoro, che priva i giovani di una visione di società per la quale mettere a disposizione le proprie competenze vedendosi garantito un futuro.
L’incapacità di sognare sogni che siano dentro la vita e non al di fuori di essa, che siano realizzabili, concretizzabili. Tutto ciò crea noia e mancanza di desiderio; in pratica si afferma l’idea del “tanto è inutile” e le cose non cambieranno mai.
Meglio allora le droghe, l’effimero, la trasgressione che deludendo ancor di più rischiano di far precipitare nel baratro “oscuro” e “autodistruttivo”. Anche qua non si deve cedere al catastrofismo, ma aprire gli occhi su tanti fenomeni dei nostri giorni anche a Genova; la mancanza di prospettiva nella nostra città è molto avvertita. Di fatto a una grande ondata di immigrazione corrisponde una grande ondata di emigrazione, emigrazione verso città più “facili” del Nord come Milano, Torino o le grandi capitali europee o i paesi più piccoli ma assai più ricchi e meglio organizzati, per non parlare oltre oceano.
Si emigra per la formazione e per il lavoro. A volte si torna, a volte si pensa di ritornare come nella canzone nostro inno tradizionale genovese (Ma se ghe pensu). Ma non vi è solo questo fenomeno a togliere speranza. Molti sono i ragazzi chiusi in casa ancora per colpa del post-covid e anche della società che spinge a isolarsi, a chiudersi, a fissarsi davanti a uno schermo. Eppure basterebbe stare un poco con loro per capire la voglia e il desiderio di stare insieme di persona, di parlare, di giocare, di ridere, di muoversi.
Chi ha frequentato le scuole medie, dove sono i nostri ragazzi, sa bene qual è la situazione; l’alto numero di bisogni educativi speciali, di ragazzi bisognosi poi di percorsi personalizzati, i disturbi cognitivi, le situazioni di abbandono sociale o familiare.
Il Papa ci invita a dare a questi ragazzi segnali di speranza. E questi segnali non possono venire da una società che introduce un solo meccanismo: avere per spendere, per consumare; l’unica felicità proposta è questa e i ragazzi lo sanno, lo capiscono rapidamente che non porta a nulla.
Vi è poi un aspetto che spesso noi trascuriamo: la povertà dei giovani e dei bambini. Alcuni lunedì fa, alla mensa di San Matteo, c’erano due giovanissimi genitori con due bebè di 6 anni e pochi mesi. Sono molte ancora le situazioni di povertà, si pensi ai minori non accompagnati, che pare essere un fenomeno tutto genovese. Intere famiglie sulla soglia della povertà in una società che è opulenta. È un fenomeno da analizzare bene, perché la vera povertà non è quella dei soldi, ma di un sistema che non permette di fare programmi di uscita dalla povertà, in quanto prevede che ogni più piccolo scellino del regno sia assolutamente speso, e per la maggior parte in sciocchezze determinate dalla pubblicità e dai social coi quali si tiene in scacco il cervello e i sentimenti umani.
Stipendi, mutui e quant’altro non vengono dati alle persone ma solo prestati in attesa di essere restituiti immediatamente in beni di consumo. Ma una vita non si può costruire solo sugli spritz, occorre anche una casa, uno stile di vita sostenibile e indirizzato al ben-essere più che al ben-consumare. Occuparsi dei giovani significa occuparsi della nostra società cercando di portare in essa l’economy di Francesco e non accordarsi al canto delle cicale dell’imperante consumo.
Un'altra questione su cui il Papa cerca di scuoterci è l’impegno a non nascondere, quindi a mostrare la bellezza e il senso della vita. Che temi fantastici! La bellezza è una qualità che viene spesso da noi cattolici abbinata all’effimero, alla vanità, all’esibizione. Noi invece siamo fatti per la bellezza, ma non quella, appunto, che viene “venduta”, che viene “acquistata”, che viene “fotocopiata”, direbbe Carlo Acutis. Ma la vera bellezza insita in ogni persona, nel creato, nelle meraviglie che l’uomo costruisce a favore degli altri. E il senso della vita è proprio quel campo che in gergo tecnico e incomprensibile ai più noi chiamiamo “vocazione”. Ancora una volta Papa Francesco dice che occuparsi dei giovani vuol dire farlo con uno sguardo vocazionale o non è niente. La domanda di senso è forte nel cuore di ciascuno.
Prendersi cura è ciò che il Papa ci chiede nei confronti dei giovani. Dedicare loro tempo e spazio. Pensare, sognare con loro e non solo per loro. Quanta fatica, ancora oggi, fanno i ragazzi e i giovani nelle nostre parrocchie. Quanto finiamo per incepparci in piccole questioni e non lasciare loro nessuno spazio e quanto a volte ci fissiamo sugli spazi senza dedicar loro del tempo. Prendersi cura. Una parola importante che il Papa lascia per questo giubileo a tutte le comunità nei confronti dei giovani. Prendersi cura gli uni degli altri il messaggio che Papa Francesco dona a ciascun giovane perché cresca la gioia (giubilo) della fraternità
*Coordinatore Pastorale Giovanile diocesana
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