Verso i 50 anni della Caritas
Numero speciale de Il Cittadino interamente dedicato alla storia, alle attività e ai progetti della Caritas diocesana
In vista del 50° anniversario della sua nascita - che si celebrerà nel 2021 - Caritas Italiana e con essa le Caritas diocesane hanno avviato un cammino di riflessione, di verifica dei passi fatti finora e di definizione di linee condivise per la sua azione futura, provando a leggere le sfide contemporanee alla luce del proprio mandato ecclesiale. Caritas Italiana nasce nel post-Concilio Vaticano II, con una missione ecclesiale che cercava di superare il circuito annuncio-liturgia in cui la Chiesa pre-conciliare era immersa, relegando la carità ad una dimensione prescrittiva ma non essenziale all’agire comunitario. Papa Paolo VI indirizza il nuovo organismo in una direzione di sostanziale discontinuità rispetto all’orientamento assistenziale della gran parte del sistema caritativo ecclesiale del tempo, rappresentato in primis dalla Pontificia Opera di Assistenza (POA) e dal sistema territoriale delle Opere Diocesane di Assistenza (ODA). “Organismo pastorale, testimonianza della carità della comunità ecclesiale, prevalente funzione pedagogica, collaborazione istituzionale, coordinamento ecclesiale, studi e ricerche” sono le parole chiave che delineano la natura del nuovo organismo.
Dentro il respiro vitale della Chiesa del nostro oggi, siamo chiamati a continuare e a rinnovare il solco tracciato in questi 50 anni avendo sempre ben chiari tre aspetti della Caritas stessa: l’essere organismo pastorale, l’animare e l’agire mantenendo costante coerenza tra questi tre aspetti. La via migliore per fare questo è proprio quella di rifarsi alle ragioni della sua istituzione da parte di Papa Paolo VI: è la declinazione dell’aggettivo pastorale che specifica come la Caritas è chiamata a condurre le comunità all’assunzione consapevole e responsabile dell’esercizio e della testimonianza della carità. Pastorale infatti rimanda ad una ricaduta di coscienza, di formazione e di responsabilità delle stesse comunità cristiane. Esse sono il vero e insostituibile soggetto della carità evangelica, chiamate a una profonda trasformazione di mentalità e di approccio ai temi e alle prassi della carità, in forme solidali, organizzate e profetiche. Una carità, dunque, che non si riduce a semplice “sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane”, ma diviene “la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti” (Sollicitudo Rei Socialis, 38).
Sollecitati da povertà e ingiustizie sempre più gravi e urgenti, rischiamo di dimenticare che i poveri e non i servizi, l’amore e non le prestazioni, sono i luoghi attraverso cui Dio parla e provoca il mondo. E che all’organismo pastorale Caritas è chiesto di costruire ponti soprattutto tra Dio, che parla e si rivela attraverso i poveri, e la comunità ecclesiale e il territorio. E proprio la comunità ecclesiale sembra essere, oggi, il destinatario meno gratificante del servizio delle Caritas diocesane. Alle Caritas non compete, di per sé, la realizzazione di opere migliori delle altre, ma di azioni e opere di una comunità che fa continuamente esperienza della misericordia di Dio e dunque sa essere esperienza di misericordia per gli altri suoi fratelli e sorelle in umanità. Ci è chiesto, cioè, di operare per la cura dell’anima, del cuore, dello stile e delle prassi di tutte le opere delle nostre Chiese. Non è questa una questione accessoria, che possiamo scegliere di disattendere, perché senza questa cura non è possibile l’animazione al senso e alla testimonianza comunitaria della carità. L’attività, le opere, gli interventi, la stessa organizzazione della Caritas hanno il loro “segno” di validazione nella crescita della fraternità. Alle Caritas è richiesta una testimonianza di Chiesa, capace di portare la Parola e l’Eucaristia nelle situazioni della vita e portare le situazioni della vita all’altare della Parola e dell’Eucaristia.
Le nostre comunità cristiane, chiamate a vivere ‘dentro’ la storia, a vivere ‘adesso’, non sono estranee all’educazione e alla crescita della testimonianza comunitaria della carità. Tre sono i luoghi e le esperienze forti di una parrocchia in cui educare a questa testimonianza ecclesiale della carità: c’è il luogo eucaristico domenicale: in ogni eucaristia c’è il “per voi” e “per tutti” come dinamica di dono, gratuità, condivisione, ascolto. La cultura eucaristica è una cultura del dono. C’è il luogo dell’annuncio: i nuovi itinerari e i percorsi di catecumenato e di iniziazione cristiana invitano a questa dinamica del dono, della misericordia ricevuta e donata. C’è il luogo della carità: non c’è comunità che non abbia un segno, uno spazio di servizio, un’esperienza e un progetto di carità, piccolo o grande. Si tratta di non isolare luoghi, gesti, esperienze di carità dalla crescita e dal rinnovamento dell’intera vita della comunità. Opere che siano “segno” della Parola e dell’Eucaristia e della Carità di Dio.
* Promozione e Territorio - Caritas Genova
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