Poveri, Dio ascolta il loro grido
Una riflessione sull'importanza dell'impegno dei cristiani verso chi ha più bisogno
Non è facile uno sguardo equilibrato sulla nostra storia così come sul creato, perché ogni sguardo è sostenuto da attese oppure da rivendicazioni, che distorcono il mostrarsi della realtà. Il comprendere bene ciò che succede esige una purificazione precisa dei nostri giudizi: non possiamo dare autorità di verità ad un giudizio che nasce istintivamente dentro di noi, senza sapere quali siano le nostre attese, la nostra formazione, la storia che abbiamo vissuto. Un esempio facile si può cogliere nel vissuto di chi ha subito grosse frustrazioni: può il suo giudizio sulla realtà non tenere conto della sua sofferenza? E così ciò che è diverso, non è sempre nemico, anzi può arricchirci, ma al primo sguardo può apparire “minaccioso”. Veniamo ora al tema che la Giornata Mondiale dei poveri ci pone: come giudicare, dal punto di vista della fede cristiana, l’enorme differenza tra il ricco e il povero, e come ascoltare il grido talvolta disperato, che nasce dalle moltitudini di poveri?
Il credente cristiano è certo che Dio “ascolta il grido del povero” e che invita tutti a partecipare alla sua attenzione per la soluzione dei problemi, ma talvolta dubita che sia sufficiente ed efficace questo tipo di presenza o meglio: non sa come discernere tra l’enormità dei problemi quelli più urgenti, quelli più lesivi della dignità dell’uomo, quelli legati ad una debolezza incolpevole (vedi il “bambino”), quelli frutto di reali ingiustizie. La casistica potrebbe continuare, ma senza una vera risposta alla domanda: perché Dio sembra quasi assente da questo enorme disordine?
Quando si parla di poveri e più genericamente di ingiustizie non basta tirare su le maniche oppure “cercare i colpevoli”. Anzitutto occorre non dimenticare che l’amore di Dio per il povero fa del “povero” un privilegiato. “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”, così inizia il “Discorso della montagna” nel Vangelo di Matteo, anzi così inizia la Buona notizia di Gesù.
Dio ci indica la povertà attraverso il Figlio, divenuto uomo e in cammino sulle nostre strade: il povero è l’uomo grato di quello che ha, disposto a condividere, nella continua disponibilità ad imparare dalle situazioni nuove. Ecco perché Dio ci vuole poveri: ci vuole liberi, capaci di dire grazie, pronti all’alleanza con tutti, certi che la nostra vita non si chiude nell’orizzonte terreno. Questo è il progetto di Dio sull’uomo: una creatura non chiusa nel tempo e nello spazio, aperta al futuro, alla vita eterna e quindi in costante riferimento al suo “Creatore”. Non siamo creati e “gettati” nel mondo, ma siamo creati “per amare”, cioè per entrare in comunione con Dio e i fratelli. Il povero, secondo Dio, è colui che è aperto alla comunione! Allora la grande disparità tra ricchi e poveri è frutto di chiusura, di incapacità di comunione o peggio di illusione che nella chiusura sul proprio privato si può “difendere” la propria dignità. La dignità non si difende, va creduta e vissuta come dono originario e ringraziata, perché custodita dall’amore di Dio per ogni uomo. Guai a scambiare la propria dignità con il denaro o con il riconoscimento “pietoso” dei propri diritti. Il vero povero è la “sua” dignità, per la quale non chiede protezione a nessun uomo. Troppe volte i cosiddetti “diritti” non sono questa dignità originaria, ma il frutto di un mercanteggiamento tra interessi diversi. Ecco il perché spesso il povero è un “fastidio sociale”: ha poco da dare in cambio! A questo punto della rapida riflessione si può tornare alla domanda originaria: quale è lo sguardo libero sulla realtà, che pone i problemi in modo serio e può lavorare per un inizio di soluzione? È lo sguardo del “vero” povero, non lo sguardo di chi si difende e neppure di chi si colpevolizza. Anzi: colpevolizzare il Creatore, per volerci diversi e per non intervenire, è scappare dalla realtà, nella sciocca speranza di custodire la propria dignità attraverso le “cose”.
* Vicario Episcopale per la Carità
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