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"La spiritualità del Morire"

Al convegno nazionale "Il rumore del lutto" è intervenuto Mons. Doldi

"La spiritualità del Morire"

Nei giorni scorsi, presso il Pantheon di Genova nel Cimitero di Staglieno, si è svolto il convegno nazionale interdisciplinare "Il rumore del lutto. Guardare la morte ad occhi aperti", dedicato alle questioni relative al trauma, alla perdita tematiche e al lutto. Tutti gli Ordini professionali che a vario titolo si confrontano con questi temi ‒fine vita, malattia, supporto al lutto ‒ erano riuniti al tavolo dei relatori. Fra loro Mons. Marco Doldi, Vicario Generale dell’Arcidiocesi, che ha tenuto una relazione su "La spiritualità del morire".

Don Marco, ci troviamo nella settimana che precede la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Quale contributo di riflessione ha apportato a questo convegno, dedicato al tema del lutto, argomento spesso trascurato al giorno d'oggi?
L'uomo contemporaneo sembra aver imposto un tabù sulla morte, come sostiene Philippe Ariès. Ne parla raramente in termini espliciti, quasi volendola esorcizzare, tuttavia vi allude frequentemente. Si discute dei pro e dei contro dell'inumazione o della cremazione, del diritto di scegliere come e quando terminare la propria esistenza.
Si desidera preservare il morire dall'accanimento in ogni sua forma, si è opportunamente sviluppata la medicina palliativa come supporto al morente, si accompagna chi rimane a gestire il dolore della perdita. Tuttavia, della morte appare solo la dimensione medico-biologica.
Da tempo, nella società attuale, il discorso sulla morte sembra essere emarginato, forse perché l'individuo appare poco attento alla stabilità e vive tutto nella successione degli istanti e nella precarietà. Zygmunt Bauman definisce "liquido" l'uomo della nostra epoca: una figura emblematica, caratterizzata da mancanza di stabilità, in continuo adattamento, incapace nel costruire legami duraturi e chiuso nel momento presente.

In una società non più "normalmente cristiana", ha ancora senso affrontare la dimensione religiosa della morte? Come si pone oggi un laico di fronte alle speranze ultraterrene della fede?
Il filosofo Remo Bodei sostiene che una risposta laica a tali aspettative è innanzitutto non deriderle, cercando di comprenderne appieno il significato e rendendosi conto che la semplice negazione di queste speranze mutila la nostra umanità. Bodei invita a non liquidare tali aspettative con superficialità o cinismo, poiché toccano temi fondamentali come il senso della vita, della morte e dell'essere umano.

Come si spiega l'odierno rifiuto di parlare della morte, considerandola un tabù?
Secondo il pastore valdese Paolo Ricca, questo atteggiamento esprime una diffusa mancanza di libertà dovuta a carenza di pensiero critico. L'uomo moderno è moderno in tutto tranne che nel suo rapporto con la morte. Affrontare questa problematica non è affatto un diversivo rispetto a compiti storici più urgenti. Oggi l'operazione evasiva, la fuga dalla realtà, consiste proprio nell'ignorare tali questioni e non occuparsene.

Quanto incide la consapevolezza della morte nello svolgimento della vita di ciascuno?
Anthony Bloom, metropolita ortodosso, afferma che senza la morte, l'esistenza rischierebbe di essere mediocre.
La "memoria mortis" – “Ricordati che devi morire!” – era una pratica diffusa tra gli asceti del passato e costituiva un invito alla responsabilità. La coscienza della fine conferisce a ogni cosa e a ogni essere la sua vera grandezza, la sua pienezza e la sua dimensione di infinito. Molte persone non sanno o non possono vivere pienamente perché non giungono a questa consapevolezza.

Nella sua relazione lei parla dello "stile del morire". Cosa intende?
Il teologo cattolico Karl Rahner utilizza questa espressione. Dobbiamo recuperare la grande tradizione che ha sviluppato lo stile del morire, denominato “ars moriendi”. La legittimità di dare alla propria fine una fisionomia personale è uno degli elementi più richiesti ai nostri giorni. Occorre individuare valori e responsabilità etiche per reinterpretare il modo e i limiti della medicina, per una maggiore attenzione alla dimensione spirituale, per promuovere le cure palliative, evitando forme di accanimento o di eutanasia, e attivando un reale accompagnamento che permette di "accettare" la morte.
Cosa dice ancora oggi l'annuncio cristiano di fronte al tema della morte?
L'insegnamento di Cristo non inculca il timore di morire, bensì la responsabilità del vivere. Se la morte è un segno che la vita non è eterna, la Risurrezione ‒ di cui Cristo è il Primogenito ‒ è la prova che la morte non è definitiva.

A cura di
Francesca Di Palma

Fonte: Il Cittadino
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