II lettura di domenica 28 febbraio - Dio non ha risparmiato il proprio Figlio
II Domenica di Quaresima (Anno B)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Rm 8,31b-34
Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
A conclusione di un brano, in cui ha esposto i motivi che giustificano la confidenza dell’uomo in Dio – il cui amore vuole che tutto cooperi al bene, sempre che l’uomo non voglia boicottare il piano divino – Paolo sfocia in una dossologia, un inno, permeato di gioia, di speranza, di riconoscenza, con un incalzare di interrogativi intensamente pregnanti.
“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”. Se nell’Antico Testamento Jahvè era il “Dio con noi” – “Emmanuele” – ora, dopo l’opera redentrice di Cristo, è “per noi”, a nostro favore, dalla nostra parte, anzi in nostra vece, al nostro posto.
Per l’uomo, il quale, pur con ineludibili limiti e fragilità, si impe-gna ad attuare il piano salvifico, in cui la divina misericordia, gratuitamente, lo inserisce, non vi è maggior motivo di sicurezza che l’aver Dio dalla propria parte, addirittura al proprio posto, poiché Cristo ha preso si è sostituito all’uomo, di fronte alla giustizia divina.
Se tale è la condizione dell’uomo redento, nulla e nessuno può presumere di incutergli paura. Con Dio dalla propria parte c’è nulla da paventare. Chi si oppone all’uomo, che ha accettato di fruire della redenzione, si contrappone a Dio: deve misurarsi con Lui, con la grazia, cui Egli ha arricchito l’uomo.
L’Apostolo prosegue, con domanda retorica: Dio, il quale “non ha risparmiato il proprio Figlio,ma lo ha dato per tutti noi, non ci donerà ogni cosa insieme con lui?”.
“Dare” equivale ad “offrire” ed ha valenza sacrificale: il Padre ha offerto sacrificalmente il suo Figlio “per tutti noi”, in nostro favore, anzi in vece nostra e, donandoci lui, ci ha donato “ogni cosa”, perché in Cristo è tutta la realtà umano-divina, di cui l’uomo è capace.
Ancora: se Dio “giustifica”, dona la grazia santificante, “chi accuserà gli eletti di Dio?”. Di fronte all’assoluzione di Dio ha assolto, ogni altra accusa è inconsistente, ogni minaccia – di male o d’angustia della vita – perde veemenza. Insomma chi è in pace con Dio, perché da lui perdonato, non ha ragione di turbarsi per altre “accuse”, di persone o di situazioni.
L’unica condanna da paventare è quella di Dio. Ma Dio non vuole condannare: vuole salvare. Paolo, senza dubbio, ha in mente le parole di Gesù: “consono venuto per condannare, ma per salvare il mondo” (Gv 12, 42; cfr. anche Gv 3,17).
La prova è che Gesù, Figlio di Dio, il quale, appunto, potrebbe condannare l’uomo peccatore, invece “è morto, è risuscitato e siede alla destra di Dio” con l’unico scopo di “intercedere per noi”: ha assunto il ruolo non di giudice, che emette sentenze di condanna, ma di avvocato difensore, di intercessore, oltre che essersi “dato” al posto dell’uomo.
È dunque motivata l’esaltazione di Paolo: Dio non vuole condannare l’uomo peccatore, ma offre il suo Figlio, affinché, sostituendosi all’uomo, non soltanto ne espii il peccato, ma continui ad intercedere per lui.
Gesù Cristo “interpella per noi, tornando a presentare al co-spetto del Padre l’umanità, assunta per noi e i misteri in essa celebrati” (S. Tomaso).
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