II lettura di domenica 27 febbraio - VIII domenica del Tempo Ordinario
La riflessione - Anno C
Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corìnzi
1Cor 15,54-58
Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
«La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?»
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!
Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
L’Apostolo conclude la sua trattazione sulla risurrezione di Cristo e dei battezzati – il cui “corpo corruttibile sarà rivestito di incorruttibilità e di immortalità” – con una vera e propria esplosione di gioia, come un peana di trionfo, a compimento delle profezie di Isaia (25,8) e di Osea (13,14), con la citazione delle loro parole, rese quasi sarcastiche: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”. Perchè la morte, “ultima nemica” (v. 26), sarà definitivamente sconfitta, “ingoiata” da Cristo, non avrà più possibilità di insidiare l’uomo, come uno scorpione – cui parla l’Apocalisse (9,10) o altro animale cui sia stato estirpato “il pungiglione” veneficamente letale.
Il “pungiglione” velenoso che porta alla morte è il peccato; il peccato comporta la morte, perché è trasgressione della legge divina. Ma Cristo ha redento dal peccato, quindi ha liberato dalla morte.
Di qui l’inno d’esultanza e di riconoscenza a Dio, il quale “ci dà la vittoria”, ci fa trionfare sul peccato e sulla morte, non per nostro merito, ma “per mezzo di Gesù Cristo”.
Corrispondente alla gratitudine a Dio, l’invito dell’Apostolo ai credenti, affinché vivano la fede con fermezza – “saldi e irremovibili” – e impegnati – “prodigandovi” – nella costruzione del regno di Dio, “l’opera del Signore”. Nella convinzione che nessuna “fatica” per il Signore può essere inutile, non può andare persa: anzi accrescerà la nostra gloria nella risurrezione.
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