II lettura di domenica 2 maggio - Questo è il suo comandamento: che crediamo e amiamo
V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
L' autore sacro sta spiegando che si vive autenticamente da “figli di Dio” opponendosi al peccato ed amando i fratelli, di un amore che tuttavia non sia puramente teorico o sentimentale, ma pratico, come quello di Gesù il quale “offrì la sua vita per noi” (v. 16).
Dopo aver posto una domanda retorica – “Se uno ha beni terreni e vede il suo fratello nel bisogno e gli rifiuta ogni pietà, in che modo l’amore di Dio potrà dimorare in lui?” (v. 17) – Giovanni affettuosamente ammonisce i suoi destinatari: “figlioli, non amiamo a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità”. Giacché un amore intessuto soltanto di parole non è efficace: è indispensabile che esso sia tradotto in “fatti”, che coinvolga, con attiva partecipazione, nella situazione del fratello che si dice di amare. Sono i fatti che testificano la buona lega dell’amore, la sua “verità”, poiché le parole possono essere finte, di circostanza o persino espressione del proprio egoismo, mimetizzato da amore per gli altri. È lo stesso concetto che si legge nella lettera di Giacomo (2,14 ss.).
Giovanni sa pure che sovente il cuore del credente entra in conflitto con se stesso: non riesce sempre ad attuare l’amore senza alcuna venatura negativa o, comunque, non è sempre sicuro che tale venatura sia assente.
Tuttavia chi è sinceramente e fondamentalmente votato alla sequela di Cristo,“non solo a parole”, ma quanto più possibile “nei fatti”, deve “rassicurarsi”, nonostante l’immancabile “rimprovero” della coscienza, perché Dio, il quale “conosce ogni cosa” e quindi l’intimità del cuore dell’uomo – come l’uomo stesso non arriva a conoscere – valuta l’agire umano con un amore infinito. Pertanto quando il cuore della creatura è votato all’amore, ma non riesce ad essere perfetto, non deve scoraggiarsi, perché “Dio è più grande del nostro cuore”: una verità lapidaria, assolutamente “rassicurante” chi è impegnato a vivere, pur nelle inevitabili sfaccettature negative, la propria dedizione ai fratelli.
Completando il concetto, Giovanni ribadisce, con una variante espressiva, la parola di Gesù sul “primo e più grande Comandamento”, che riassume tutti gli altri: “che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato”.
“Credere” a Gesù non significa prestar un assenso meramente intellettuale alla sua persona e alla sua opera, ma farlo vivere nella propria esistenza, uniformare alla sua “presenza” i vari momenti: in definitiva fare riferimento a lui e a quanto viene man mano chiedendo o ispirando. Allora l’amore verso gli altri è ineludibile.
L’adeguarsi alla volontà di Dio, al suo amore – “osservare i suoi Comandamenti” – equivale ad appropriarsi di Dio, talché si realizza una misteriosa osmosi soprannaturale: “chi osserva i Comandamenti dimora in Dio ed egli in lui”. E l’osservanza dei Comandamenti dev’essere sempre concretizzata “nei fatti”, non può ridursi a parole.
Se ciò si verifica, il credente ha la prova che è presente “lo Spirito”.
L’osservanza dei Comandamenti è ad un tempo segno della autenticità della fede – cioè dell’adesione dell’uomo a Dio – e conferma che Dio agisce in lui, perché “qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui”.
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