I lettura di domenica 5 marzo - II Domenica di Quaresima
Anno A - DALLA FEDE ALLA GLORIA
Dal libro della Genesi (Gn 12, 14a)
In quei giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
Tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
I primi undici capitoli della Genesi si riferiscono alla storia di tutta l'umanità. Una storia caratterizzata dal comportamento immorale: dalla ribellione dei progenitori all'assassinio di Abele da parte di Caino, dalla corruzione generalizzata che provoca il castigo del diluvio alla confusione della torre di Babele.
Con il dodicesimo capitolo l'angolo prospettico della Genesi si restringe ad una parte dell'umanità, ad un popolo che Jahvè decide di rendere depositario delle promesse salvifiche. Caratteristica diventa la misericordia divina, che instancabilmente insegue l'uomo.
Abramo, nel sec. XVIII a.C. circa, è chiamato ad essere il capostipite del nuovo popolo. Scelta misteriosa di Dio, del quale (si può intuire), Abramo fa una eccezionale esperienza mistica. Infatti la sua famiglia, nell'alta Mesopotamia, ad Ur (cfr. At 7,2) è politeista.
L'imperativo di Jahvè è decisamente esigente: Abramo deve lasciare la propria tranquillità (“lascia la casa di tuo padre”), anzi il proprio paese e la patria. E' richiesto un cambiamento radicale: la rinuncia ad ogni vincolo con la
stirpe nativa, e l'affidamento totale a Dio, il quale non precisa l'immediato (“va’ verso il paese che io ti indicherò”) ma annuncia una prospettiva sorprendente, grandiosa: “farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione”.
Abramo viene scelto, non semplicemente ad essere il fondatore di un popolo, ma il depositario della divina benevolenza, sino a diventare egli stesso “benedizione”. Una vocazione alla grandezza della sua persona, della sua missione (“renderò grande il tuo nome”), ma soprattutto della sua discendenza, popolo nuovo.
Una vocazione garantita da promessa, dall'impegno di Dio, che verrà confermato altre volte in seguito (cfr Gn 13,15ss; 17, 6ss; 22,17ss).
La grandezza che Jahvè promette non si esaurirà nella discendenza di Abramo, ma avrà portata universale: “in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Ciò perché Dio stabilisce un vincolo di speciale amicizia con Abramo e il suo popolo. Tanto che promette benedizione a coloro che avranno rapporti di benevolenza con la discendenza di Abramo e maledizione per quanti la ostacoleranno.
La valenza messianica e quindi di salvezza spirituale, di queste espressioni, è convalidata – con esegesi ispirata – dal Nuovo Testamento (Gal 3,6ss; At 3,25).
Obbedienza incondizionata ed immediata è la risposta di Abramo a Dio. Atteggiamento emblematico di fede, che nella vita di Abramo sarà costante, senza incrinature, sino alla suprema prova: l’ordine di immolare il figlio, Isacco (Gn 22).
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