Dare fiducia alla famiglia - In Seminario la giornata diocesana
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“Mi è molto piaciuto che si sia parlato di relazioni, elemento fondamentale per i cristiani. Noi crediamo in Dio, un Dio che è Padre e quindi un Dio relazione. La relazione è al di sopra di tutto, la si deve mantenere viva e non far prevalere la spinta individualistica. Quindi dobbiamo chiederci: il nostro impegno pastorale ha al centro la relazione? Cosa comporta nella catechesi? E nei Cpm? Nelle fatiche delle comunità? Fermiamoci e continuiamo a parlare e condividere sul tema”.
Con una sintetica riflessione e un esplicito invito l’Arcivescovo ha concluso la Giornata diocesana delle Famiglie che si è tenuta domenica 15 novembre presso la parrocchia di Mater Ecclesiae, a Marassi.
“Serve coraggio per sposarsi, il matrimonio è un sacramento” era il titolo della Giornata, organizzata dall’Ufficio diocesano per la Famiglia e la Vita” e ancora Monsignor Tasca lo ha sottolineato: “Ricordiamoci che Gesù Cristo non ha fatto della famiglia, che esisteva già in quanto struttura sociale, un sacramento, ma del matrimonio. Lo ha, per così dire, inventato Lui. Chiediamoci sempre: che intuizione c’è dietro? Questo potrebbe essere un motivo di future condivisioni”. Mons. Pier Luigi Pedemonte, direttore dell’Ufficio famiglia, in apertura era stato chiaro: “Due i motivi che ci fanno ritrovare qui: dare segno di speranza e fiducia alla famiglia – per la quale e nella quale continuare a pregare – e realizzare, con tutti coloro che operano in questo campo nella Chiesa, un momento di unità nelle diversità”. L’interesse intorno all’argomento si è reso subito evidente dai tanti quesiti che chi ha seguito, in video da lontano, ha potuto porre, via social, anche sulla base dell’ampia relazione del sociologo genovese Mario Salisci, seguita alla proiezione di un video in cui 24 giovani, tra i 15 e i 28 anni, anche non praticanti, hanno risposto a tre domande: Come vi vedete tra 10 anni? Cosa pensate delle relazioni di coppia? Da 1 a 10 quanto credete al matrimonio?
“Emergono precise convinzioni e valori profondi, anche se sono stati coperti da una narrazione sociale che va in tutt’altra direzione – ha subito sottolineato Salisci – Siamo in un mondo che spinge sulla formazione di un individuo solo, trascurando il suo aspetto relazionale, perché dividere, creare unità singolari (i cosiddetti “single”) fa moltiplicare i consumi, suscitando bisogni che il mercato soddisfa creando i beni. Si chiama economia dei bisogni, ed è alla base del Pil, il Prodotto interno lordo delle nazioni, che a sua volta va contro le relazioni stabili nel tempo. Non a caso la “industria del divorzio” è tra le più fiorenti in Occidente”.
Salisci ha ricordato come la divisione dei legami sia stata mascherata dalla etichetta libertà: “Essi vanno in contraddizione col poter fare quello che si vuole nel campo della fisicità, della sessualità, della affettività. Fuori da questioni morali ma in termini analitici: se si rompe una relazione stabile nascono due diversi cicli economici”.
Nella ancor presente contingenza della pandemia è stata però riscoperta l’unità tra le generazioni, soprattutto tra i figli piccoli e i genitori. “Dobbiamo reimparare a educare alla relazione – ha detto l’esperto – spingere i ragazzi a capire cosa significa relazione affettiva e che vantaggi porta. Tutte le ricerche mondiali dimostrano che un fattore primario del successo personale è costituito da positivi legami stabili, come prova chiaramente lo sviluppo del capitalismo del Nord Italia, legato a storie di successo familiare. La relazione è il lavoro degli esseri umani; la possibilità di portare equilibrio e stabilità emotiva, è il segreto per parlare con le nuove generazioni”.
Salisci ha poi approfondito il tema delle conseguenze del Covid sull’essere comunità: “Di certo col Covid si sarebbe saltati in aria senza la famiglia ma con i soli sostegni di prossimità. Questo prova come nessun servizio dello Stato possa sostituirla. Dobbiamo sempre più esaltarne la dinamica, scoprirne il significato funzionale al di là dei valori, e quindi svilupparne nei ragazzi un senso di emulazione. Come? Parlandone nelle parrocchie, che sono obbligate a rimettersi a studiare sul modello relazionale, nei gruppi, coinvolgendo i giovani, perché loro cercano lavoro e realizzazione pratica, ma anche realizzazione affettiva. Creando serate di condivisione su temi di confronto, per discutere senza giudizio, per trovare soluzioni e dare alternative.
Occorre riportare al centro una diversa proposta sociale, riscoprire i valori abbandonando però una prassi moralistica su cui assolutamente i ragazzi non ci seguono. La famiglia sia il posto sacro dove i messaggi contradditori della narrazione pubblicitaria non devono arrivare. E le comunità parrocchiali hanno l’obbligo di puntare sul reinvestimento relazionale: devi sapere che accanto a te c’è qualcuno su cui appoggiarti”.
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