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Nella "Gaudete et exsultate" la santità della vita quotidiana

"La santità" del popolo di Dio paziente, che vive nelle cose semplici

Nella "Gaudete et exsultate" la santità della vita quotidiana

È uscita in questi giorni la terza esortazione apostolica di Papa Francesco dal titolo “Gaudete et Exsultate”. Il filo rosso della gioia continua a rappresentare l’elemento che unifica il magistero del Papa che vuole cristiani gioiosi che mostrino di aver incontrato il Risorto e in lui il segreto di una vita pacificata, realizzata, piena.

Quasi facendo eco al dettato conciliare sull’universale chiamata alla santità, la “Gaudete et Exsultate” indica nella santità l’orizzonte della esistenza del cristiano comune.

La prima cosa che colpisce nel testo è la convinzione con cui si sostiene che la santità appartiene al “popolo di Dio paziente”, alle persone che hanno un’ordinaria vita quotidiana fatta delle cose semplici che sono la struttura dell’esistenza di tutti.

Ci si dovrà abituare a riconoscere i santi della porta accanto: nei “genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere”. (n. 7).

Dunque una santità che non è per pochi eroi o per persone eccezionali, ma il modo ordinario di vivere l’ordinaria esistenza cristiana. Non vi è vita cristiana possibile al di fuori di questo quadro esigente e appassionante: c’è un solo modo di essere cristiani, quello che si colloca nella prospettiva della santità.

La manifestazione della santità della vita quotidiana non va cercata nelle estasi o nei fenomeni straordinari che talvolta si associano ad essa, ma in coloro che fanno delle beatitudini la loro carta di identità e che vivono secondo quella “grande regola di comportamento” proposta nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: la concreta misericordia verso il povero. Queste persone, che vivono “con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno” fanno vedere il volto del Signore (n. 63). Chi vive nel dono di sé perché vive secondo la parola di Gesù, è santo e sperimenta la vera beatitudine. Papa Francesco però mette in guardia dalla tentazione di considerare le beatitudini come belle parole poetiche: esse vanno controcorrente e delineano uno stile diverso da quello del mondo.

La “grande regola di comportamento” traduce in modo concreto le beatitudini, soprattutto quella della misericordia.

L’esempio che viene riportato al n. 98 è molto concreto e mostra il discrimine tra l’essere cristiani e non esserlo. “Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda” (n. 98) posso considerarlo un imprevisto fastidioso o riconoscere in lui un essere umano come me infinitamente amato dal Padre: dal mio atteggiamento passa il confine tra l’essere cristiani e non esserlo!, perché, afferma Papa Francesco, “non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo”. Perché se la santità è il dono di sé come lo ha vissuto il Signore Gesù, non si potrà passare distratti e indifferenti accanto al fratello che soffre.

Vivere la santità richiede di avere realizzato nella propria esistenza quell’unità per cui si passa dalla contemplazione del volto del Signore alla concretezza del gesto di carità, e dall’azione per l’altro al mistero del Risorto come a sua radice.

L’Esortazione non è un piccolo trattato, ma vuole essere uno strumento per cercare le forme della santità per l’oggi.

Le cinque caratteristiche che vengono proposte nel capitolo quarto indicano alcuni rischi e limiti della cultura di oggi: “L’ansietà nervosa e violenta che ci disperde e debilita; la negatività e la tristezza; l’accidia comoda, consumista ed egoista; l’individualismo, e tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale” (n. 111). Di fronte ad essi, occorrono fermezza e solidità interiore per resistere all’aggressività che è dentro di noi; la gioia e il senso dell’umorismo; la parresia, come coraggio apostolico e capacità di osare; la disponibilità a fare un cammino in comunità e infine la preghiera.

Così il cristiano potrà sperimentare quella gioia che il mondo non gli potrà togliere.

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