Pnrr in Italia a rischio di fallimento
Speso solo il 6% della somma complessiva
La tensione tra l'Italia e Bruxelles sul Pnrr continua a salire, anche se i toni restano formalmente cortesi, e l'Ue non ha nessuna intenzione di sbloccare la tranche di 19 miliardi di euro relativa al secondo semestre del 2022 a causa dei ritardi sugli obbiettivi che ci eravamo prefissati unitamente ai grandi problemi ancora aperti con i nostri partner su migranti, carburante, concessioni balneari e Mes. Dei 55 obbiettivi fissati, in particolare Bruxelles contesta la situazione per quanto concerne le concessioni portuali per le quali la Commissione chiede di limitarne la durata, le reti di teleriscaldamento su cui permangono dubbi sull'ammissibilità di una parte degli interventi previsti e sui Piani urbani integrati in relazione al Bosco dello sport a Venezia e allo stadio "Artemio Franchi", di Firenze approvati con un decreto dell'Interno del 22 aprile 2022 e quindi dal governo Draghi. In questa situazione così complessa per il nostro paese, che ha assoluta necessità di ricevere questi fondi europei, cresce la tensione tra l'esecutivo di Giorgia Meloni e l'ex premier Mario Draghi con il ministro Raffaele Fitto che parla di "operazione verità" e che ricorda che tutte le opere contestate da Bruxelles sono state approvate dal precedente governo incluso il decreto sull'affidamento delle concessioni portuali che era stato predisposto il 14 ottobre 2022 ed inviato al Consiglio di Stato.
La strategia del governo guidato da Giorgia Meloni è quella di tentare di spostare una parte degli obbiettivi del Pnrr oltre al mese di giugno del 2026 per evitare di perdere una parte dei finanziamenti; la Corte dei Conti nella relazione sullo stato di avanzamento del Pnrr conferma che è stato speso solo il 6% della somma complessiva, con ritardi nei pagamenti "agli attuatori ed ai realizzatori". I magistrati contabili hanno calcolato che ad oggi, senza ulteriori rallentamenti e ritardi, nel biennio 2024-25 dovremmo essere in grado di spendere 45 miliardi di euro all'anno. Si tratta di un risultato irraggiungibile, come confermato anche dal ministro Raffaele Fitto che ha ribadito: "Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa Relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa".
Anche il Piano nazionale complementare, il Pnc, finanziato con 30,6 miliardi di euro è praticamente bloccato, con i rincari delle materie prime e dell'energia che hanno fatto slittare gli obbiettivi di trimestre in trimestre al punto che per il primo semestre di quest'anno "agli obbiettivi non completati, in ritardo o parzialmente completati nel 2022 (40) si aggiungono ulteriori 37 adempimenti", inclusi 41 interventi infrastrutturali nelle Zes, le Zone economiche speciali, che la Corte ritiene che "sarà arduo realizzare" e con molti casi in cui non si è neppure arrivati ad indire le prime gare. Il ministro agli Affari europei Fitto dopo l'ultimo consiglio dei ministri è stato costretto a ricordare ai suoi colleghi: "I mercati ci guardano. Dovete fornire in tempi rapidi un'analisi netta e chiara delle criticità relative ai progetti di competenza. Non serve una radiografia ma una risonanza magnetica dello stato di avanzamento dei lavori di qui alla scadenza del Piano nel 2026" e a pretendere che vengano evidenziati "chiaramente i punti critici, spiegarne le ragioni e individuare soluzioni percorribili".
Il rinvio di ulteriori due mesi per lo stanziamento di questi 19 miliardi di euro è la conseguenza del timore dei nostri partner che una misura costruita per aiutare l'Italia possa fallire. La bocciatura del lavoro di un semestre con la mancata erogazione di una tranche dei fondi significherebbe per il nostro paese perdere per sempre quei fondi, con conseguenze drammatiche, ma specialmente mettere in dubbio la filosofia che è alla base del Next Generation Ue e dar voce ai paesi del Nord, i cosiddetti frugali, da sempre critici con gli Stati del Sud e ridare forza ai partiti sovranisti come già accaduto con Matteo Salvini che, di fronte alle oggettive problematiche segnalate da Bruxelles sul mancato raggiungimento dei target, ha subito dichiarato: “Se la Commissione non aveva dubbi con il governo Draghi, non vogliamo pensare che i dubbi nascano ora con noi".
La Commissione europea, il Consiglio ed il Parlamento temono che se l'Italia fallisce, il progetto europeo si fermerà per un bel po' di tempo. Nessuno autorizzerà altro debito comune. Faremo un passo indietro di venti anni. La vera colpa di Roma è questa" e che la spaccatura tra i paesi virtuosi del Nord e quelli più "spendaccioni" del Sud diventerà sempre più ampia creando una fase di stallo in cui Bruxelles non sarà più in grado di decidere nulla. L'Europa e la sua classe politica si trovano di fronte alla più grande sfida per la loro sopravvivenza ed il potere dovrebbe decidere di rinunciare a se stesso e di lottare per la verità e cioè capire che un'Unione di paesi non può basarsi sul predominio di quelli economicamente ed organizzativamente più forti a danno di quelli più fragili con l'obbiettivo di farli diventare, nei fatti, dei paesi di seconda categoria al servizio dei primi.
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