Addio alla Carrà, esempio di professionalità e garbo

“E mi permise di restarle a fianco finché niente restò di lei” Pochi sanno che una delle più belle canzoni italiane, testo firmato da Carla Vistarini e musica di Tony Cicco, il batterista e cantante della Formula 3 che la incise in un suo bellissimo disco, è stata cantata anche da Raffaella Carrà a metà egli anni Settanta del secolo scorso.Raffaella è stata un personaggio internazionale, certo, legata a brani e trasmissioni più leggere, da Canzonissima a Milleluci con Mina, da Fantastico (con Gigi Sabani altri miti del calibro di Corrado e Renato Zero) a “Carramba! Che sorpresa”, prima di andarsene nel pomeriggio di lunedì 5 luglio. Senza clamore, e lasciando molti nel dolore e nel rimpianto. E non sono state parole di maniera. Canzoni leggere, non c’è dubbio, ma anche appunto popolari con quegli espedienti legati al corpo e alle sue nuove frontiere, e poi anche film nazional-popolari, ma pure duetti con James Brown, il re del R&B e della musica nera, e una assidua presenza in quel viale dei cambiamenti che portò l’Italietta del sabato sera in bianco e nero alle prime trasgressioni,sempre nazional-popolari, ma anchead una maturità diversa. Raffaella Carrà ha rappresentato l’equilibrio che ha accompagnato periodi difficilissimi della nostra storia, anni di piombo e delitto Moro compresi, in cui l’apparizione televisiva non era espediente per l’esibizione trasgressiva fine a se stessa, ma una sorta di continua mediazione in progress verso la cosiddetta modernità. Un’icona assoluta e baciata dal dono della misura pur nel sorridente e inevitabile viaggio mediatico verso la modernità. Ha detto bene Renzo Arbore, è stata il simbolo della “belle epoque” della televisione nazionale. Alcuni monumenti dello spettacolo e dell’effetto speciale al femminile, e non solo in Italia, le devono qualcosa. A noi piace ricordarla soprattutto per la sua interpretazione di quella struggente canzone che non aveva nulla di melodrammatico, anzi, toccava i lidi del dolore, della solitudine e del rimpianto, in anni in cui la febbre del sabato sera imperava non solo tra gli adolescenti, e aveva trasformato un gruppo dedito a capolavori non per tutti, i Bee Gees, in icone del pop. “E mia madre” rimane un obbligo d’ascolto per la nostra musica chiamata – talvolta a torto – leggera.Il fatto che a cantarla sia stata anche la Raffaella nazionale è un segno di come siano davvero complessi i mondi mediatici, ma che ce la dice lunga anche sul pesoanche qualitativo della sua azione di svecchiamento della nostra scena mediatica.Un’icona nazionale, e popolare, nel senso migliore del termine, che resta.“Sono profondamente colpito dalla scomparsa di Raffaella Carrà, un’artista popolare, amata e apprezzata da diverse e numerose generazioni di telespettatori in Italia e all’estero.Volto televisivo per eccellenza ha trasmesso – con la sua bravura e la sua simpatia – un messaggio di eleganza, gentilezza e ottimismo”. Lo ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, commentando la scomparsa di Raffaella Carrà.Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha appreso con “profonda tristezza della scomparsa di Raffaella Carrà”: “Con il suo talento e la sua professionalità – ha sottolineato il premier in una dichiarazione – ha avuto un ruolo decisivo nel diffondere la cultura dello spettacolo in Italia. La sua risata e la sua generosità hanno accompagnato generazioni di italiani e portato il nome dell’Italia nel mondo”. “Agli amici e ai nipoti vanno le più sentite condoglianze di tutto il Governo”, ha concluso.