Facoltà teologica, nuovo anno accademico
Padre Francesco Maceri terrà la prolusione sulla figura del Card. Newman
In occasione dell’inizio dell’Anno accademico della Facolta Teologica dell’Italia Settentrionale, abbiamo intervistato Padre Francesco Maceri, che terrà la prolusione introduttiva.
Padre Francesco, martedì 17 ottobre lei sarà a Genova per l’inaugurazione dell’Anno Accademico della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Nella sua Prolusione inaugurale lei parlerà dell’apporto dato dagli studi di John Henry Newman rispetto all’esercizio del “sensus fidei”. Quanto è attuale oggi la figura del Santo e come si inseriscono il suo pensiero e i suoi scritti nel cammino sinodale della Chiesa?
Anzitutto desidero esprimere il mio grazie per l'invito e per l'occasione che mi viene offerta di parlare di J. H. Newman. Verso di lui ho un debito non estinto di gratitudine, essendo stato e continuando ad essere per me un accompagnatore nel cammino formativo permanente; perciò ogni volta che mi viene offerta la possibilità di proporre una riflessione sul suo pensiero acconsento con molto piacere.
Nella Prolusione vorrei soprattutto indicare alcuni presupposti antropologico-teologici per un'accoglienza e un esercizio del dono del sensus fidei che siano veramente 'spirituali', nello Spirito del Crocifisso Risorto. Si è parlato e si parla molto dello Spirito Santo, della sua presenza e della sua azione, e ciò è un gran bene. Tuttavia dobbiamo essere consapevoli che il ricorso abbondante alla terminologia inerente allo Spirito non significa di per sé messa in atto coerente dell'ascolto e della collaborazione docile. Il discernimento dello Spirito, di ciò che egli dice ai singoli cuori e alla Chiesa, non è facile. Come ha ricordato recentemente un gesuita americano, anche nella vita di s. Ignazio dobbiamo registrare alcuni errori. Credo che Newman, capace di individuare con finezza e rispetto le vie del cuore umano e animato ininterrottamente da un amore leale per la Chiesa, sia di grande aiuto perché ci si ponga in maniera appropriata in ascolto dello Spirito.
Molto utili sono pure le sue riflessioni riguardo al rapporto tra Chiesa e mondo. Newman offre analisi e chiavi di lettura teologico-esperienziali utili per evitare che nella Chiesa prevalga tanto un pessimismo che la chiuda con sospetto verso il mondo, quanto un ottimismo stolto che permetta ad esso di assimilarla a sé.
Per completare la risposta alla sua domanda vorrei ricordare anche la mia esperienza risalente al periodo in cui ero ancora prete diocesano e parroco. Mi resi conto che ciò di cui i fedeli avevano più bisogno era accogliere e sviluppare il dono di incontrarsi personalmente con Dio, evitando sia l'arbitrarietà sia la dipendenza spirituale, sia l’individualismo sia il settarismo. Individuai in Newman, di cui avevo studiato l’Apologia pro vita sua, una guida illuminata e affidabile.
Nei giorni scorsi a Roma ha preso il via la XVI Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, non un parlamento, come ha detto il Papa in Piazza San Pietro nell’omelia di apertura dell’assemblea, ma un camminare insieme per “ricentrare il nostro sguardo su Dio, per essere una Chiesa che guarda con misericordia l’umanità”. Quanto è importante oggi nella Chiesa questo invito del Papa alla corresponsabilità e all’unione?
Vorrei iniziare a rispondere con un brano della lettera che Newman scrisse nel 1873 a George Fottrell: «Farete il più grande beneficio possibile alla causa cattolica in tutto il mondo, se riuscirete a fare dell'Università un luogo in cui clero e laici possano incontrarsi, per imparare a capirsi e a cedere gli uni agli altri e da cui, come da un terreno comune, possono agire uniti su un'età che corre a capofitto verso l'infedeltà». Certo, il Sinodo non è l’Università, tuttavia fatte le dovute distinzioni essenziali, si può dire che il Sinodo è il luogo in cui clero e laici si incontrano, imparano a comprendersi, gareggiare nella docilità e nel rispetto dei doni reciproci, con una visione non autoreferenziale ma evangelizzatrice.
Non si sottovaluti la stima reciproca raccomandata da Paolo (cf. Rm 12,10; Fil 2,3-4; Ef 4,6): se essa è presente, il disaccordo, anche profondo, prodotto dalla pluralità di opinioni e giudizi non causa divisione.
Posto che ciò che chiediamo nella preghiera è anche ciò che crediamo e dobbiamo vivere (lex orandi lex credendi lex vivendi), l’importanza del Sinodo come cammino di tutto il popolo di Dio può essere colta anche da ciò che chiediamo al Signore in una preghiera di intercessione dei Vespri del tempo di Quaresima, e che si potrebbe considerare come una sorta di basso continuo dell’Assemblea sinodale: «Padre santo, che ci hai dato il tuo Figlio, come pastore e guida delle nostre anime, assisti i pastori e le comunità che hai loro affidate, perché non manchi al gregge la sollecitudine del pastore e al pastore la docilità del suo gregge (ne gregis desit cura pastoris, neque pastoribus oboedientia gregis)».
Infine, penso che il riconoscimento e il conseguimento effettivo dell’importanza dell’invito del Papa alla collaborazione e all’unione dipenda anche da una precisazione fondamentale: la molteplicità di giudizi, la diversità di pareri, talvolta anche contrastanti, in mezzo al popolo di Dio, non è sempre un segno di ricchezza; esso può essere altrettanto una conseguenza della fragilità, della debolezza e della peccaminosità umane. E allora? Allora, se riconosciute tali, le divergenze renderanno ciascuno sollecito e attento a scoprire e aprire una via da percorrere per offrirsi tutto e interamente a Dio, intendendo cioè che tutta la propria persona riesca a lode e onore del Signore.
Il Sinodo è un’esperienza della Chiesa in uscita, in uscita verso le periferie, certo; ma attraverso queste in uscita verso Gerusalemme (cf. Lc 9,51). La sua importanza effettiva dipenderà da quanto e come i partecipanti hanno camminato e cammineranno con decisione e fermezza dietro al loro Signore.
L'intervista integrale è disponibile sul numero 36 del settimanale
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