Cultura
Catechesi nell’arte – Pasqua rappresentata

Passione e Risurrezione nelle opere di grandi artisti
Dai noti affreschi giotteschi della Cappella degli Scrovegni alla Vesperbild michelangiolesca, dal Cristo alla colonna bramantesco alle varie interpretazioni legate al tema della Crocifissione, dall’Ultima cena leonardesca alla cena in Emmaus del Caravaggio, i temi legati al periodo della Pasqua sono stati da sempre oggetto dell’interesse degli artisti e della prestigiosa committenza a loro indirizzata. I capolavori espressi intorno alle tematiche della Passione, morte e Resurrezione del Cristo sono stati tantissimi, e ogni artista, pur quando si è avvalso delle regole delle costanti iconografiche, ha di volta in volta inserito elementi di carattere individuale, per fornire, anche attraverso dei semplici dettagli, la propria personale visione del mistero divino.
Sappiamo dai Vangeli che Gesù morì sulla Croce nei giorni della festa della Pasqua ebraica, e, secondo quanto scritto da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, sappiamo che morì “per i nostri peccati”. Sempre Paolo ci dice che “fu sepolto e il terzo giorno è resuscitato secondo le scritture”. La Pasqua cristiana, Pasqua di Resurrezione, ha inizio con la “visita al sepolcro” da parte di Maria Maddalena e di altre donne. Saranno loro a scoprire il sepolcro ormai vuoto, l’alba del giorno dopo il sabato. Al Museo di San Marco a Firenze, si possono ammirare gli affreschi del Beato Angelico. Il particolare presentato nell’immagine riprende lo sconforto delle donne di fronte al vuoto del sepolcro di Cristo. La presenza dell’angelo, seduto sopra il sepolcro non sembra influire direttamente su di loro… l’angelo dice alle donne: “non è qui, è risorto”. E infatti il Cristo risorto è già nella luce, all’interno di una mandorla e sovrasta la scena, guardando verso l’osservatore, presenta la palma e la bandiera della vittoria. Efficace narratore, il Beato Angelico fonde la sua profonda fede con la capacità di rappresentare “in un solo quadro, le componenti della rivelazione divina” (da Angelicus pictor di Venturino Alce, 1993).

La Domenica delle Palme, dà inizio alla settimana di Passione. È un momento importante che l’arte pittorica non ha certo omesso di rappresentare. Gesù entra a Gerusalemme e viene accolto come il Messia da una folla festante al grido di “Osanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore”. L’immagine qui presentata si riferisce ad un affresco della Cappella degli Scrovegni a Padova. Giotto ha rappresentato in modo straordinariamente nuovo per la sua epoca le reazioni degli uomini al passaggio di Gesù. Quello che colpisce maggiormente l’osservatore è l’azione premurosa di due personaggi che si arrampicano sugli alberi per prendere i rami da agitare al passaggio del Cristo. Giotto quindi interpreta il racconto del Vangelo, aggiungendovi la sua personale visione della vicenda, attraverso alcuni particolari, che seppure non determinanti per la lettura dell’affresco nel suo complesso, sicuramente incidono nell’immaginario dell’osservatore, che accoglie il messaggio rivoluzionario dell’artista quasi inconsapevolmente. Del resto già a partire da Giotto possiamo affermare che l’intuizione dell’artista concorre a formare il pensiero religioso, portandolo da una dimensione prima prevalentemente simbolica (pensiamo all’arte del periodo bizantino), ad una dimensione più comprensibile perché ricca di elementi umani. Dal 1300 in poi sarà tutto un crescendo. Dalla interpretazione michelangiolesca della Vesperbild, (letteralmente immagine del vespro, in riferimento alla deposizione del Cristo dalla Croce ed alla immagine della Pietà), per finire con la tormentata immagine della Croce nella sofferta visione di Dalì nel Cristo di San Giovanni della Croce, gli artisti guideranno in modo più o meno evidente, la visione dei fedeli nell’interpretazione degli eventi religiosi. Tuttavia è opportuno precisare che molte tematiche religiose hanno dovuto seguire un lungo percorso prima di poter raggiungere una più libera formulazione iconografica e sovente gli artisti non sono per così dire, potuti intervenire nell’interpretazione di determinati repertori, dovendosi attenere a determinate regole già codificate. È opportuno a tal proposito riferirsi ad esempio al tema della Crocifissione e alla sua evoluzione nella storia. Il Cristo già dall’inizio viene raffigurato tra i due ladroni. Il luogo, il Golgota, piccolo monte posto a nord di Gerusalemme, non viene invece inizialmente rappresentato. La rappresentazione della Crocifissione si comincia a diffondere solo nel IV secolo. Infatti la Croce come simbolo cristiano non si impone immediatamente. La Croce dai primi cristiani era vista come lo strumento di tortura che i pagani avevano utilizzato per martirizzare Gesù, e quindi non veniva rappresentata…solamente dopo, assurgerà a simbolo dell’intera Cristianità e si cominceranno a definire delle regole precise per rappresentare Gesù nella Croce. Già nel IV secolo. Con la soppressione della pena della croce (ad opera di Teodosio), la Croce cominciò a non essere più considerata come pena infamante. Una delle rappresentazioni più antiche la troviamo in un pannello in Santa Sabina a Roma, risalente al V secolo. Il Cristo è mostrato in posizione centrale ed è insieme ai due ladroni. È presentato gerarchicamente più grande dei due ladroni e anche se crocifisso è però mostrato in piedi che si regge in modo autonomo. Sul suo viso non appare sofferenza, ed è vivente. Prima di arrivare ad una rappresentazione di un Cristo morto sulla Croce infatti si dovrà attendere parecchio. Mostrare il Cristo morto infatti significava dare maggiore spazio al Cristo Uomo, e a questo concetto si pervenne solo dopo un lungo periodo. Già nel V secolo, il papa Leone Magno, aveva affermato la duplice natura del Cristo, sia umana che divina, ma si dovrà attendere il concilio di Costantinopoli nel 696 per vedere rappresentato un Christus Patiens, al posto di quello trionfante. Anche i chiodi che avrebbero fissato Cristo alla croce cambiano di numero, e da quattro (due per le mani e due per i piedi) diventano tre. Riprendendo l’iniziale riferimento alla Vesperbild, occorre precisare che tale nuovo soggetto iconografico si diffuse in Europa centrale a partire dal XIV secolo. Il soggetto non faceva comunque riferimento a nessun racconto tratto dai vangeli, ma nasceva dal presupposto della possibilità che a Maria fosse stato dato in braccio il corpo del Figlio, una volta deposto dalla Croce, e prima che venisse sepolto. Nasce così il motivo iconografico della Pietà, una delle rappresentazioni più commoventi e forti di tutta la storia dell’arte. Michelangelo interpreta la Vesperbild con una composizione piramidale: Maria, è vista come il tramite tra il cielo e la terra. Viene qui raffigurata con il corpo del Cristo in braccio in posizione orizzontale. Il verticalismo di Maria indica proprio la funzione di tramite da Lei nuovamente assunta. L’aver compreso la composizione in una forma piramidale prelude forse per l’artista all’ascesa al cielo, che presto rivelerà che il destino del Cristo, è risorgere. Ecco perché il dolore di Maria, seppure espresso, non è gridato, ma è composto. Egli è davvero morto, ma l’espressione di Maria ci dice che si tratta del compimento di un disegno divino e che Gesù Risorgerà.